Editoriale del n.22 del 7 giugno 2015

Con questa settimana si chiude l’anno scolastico…
Cosa resta?
Che cosa resta di un anno scolastico che si conclude? Ci vuole coraggio per certe domande. E ancor più coraggio e lucidità per dare risposte. Riassumere in poche battute quello che accade nel vorticoso spazio di 200 giorni è impossibile. Basta un anno scolastico perché ogni studente e ogni docente abbia materia sufficiente per uno o due romanzi.
Aldilà di quanto dicono le proposte di modifica, i proclami di questo o di quell’altro esperto, provo a tirare su le reti: dopo un anno che cosa resta? Voti? Interrogazioni? Compiti? Programmi? Scartoffie? Note? Tutto questo lo spazzeranno via le prime settimane di vacanze. Quello che resta è invece la solita umile, usata, difficilissima arte di vivere: quanto sono cresciuto nell’amore con i miei compagni di banco, con i professori, con l’istituzione scolastica?
Si voglia o no, degli anni passati sui banchi di scuola rimane la memoria dell’amore declinato nelle sue molteplici e quotidianissime forme: quanto tempo dedicato ad apprendere nozioni, diverse da quelle dell’anno prima?
 
Nei giorni scorsi, guardando alla tv l’infinita discussione sulla riforma scolastica, osservavo e ascoltavo le lamentale di alcuni professori che probabilmente in un momento di sconforto burocratico, formulavano ipotesi pessimistiche. Addirittura un docente ha formulato una legge: somma il numero di ore impiegate a parlare dei e con i ragazzi, sottrai il numero di ore dedicate a compilare carte e registri. Il risultato, spesso purtroppo negativo, è la scuola italiana.
 
E’ veramente così? In passato ho insegnato anche io in un istituto professionale una materia tra quelle poco ‘considerate’: la Religione cattolica. E personalmente non la penso così’ Aldilà delle scartoffie, delle interminabili riunioni, a me sono rimaste le vite dei ragazzi che ho avuto modo di conoscere e la mia vita,  mutata e maturata con le loro, per un più pieno compimento mio e loro.
 
Spesso saccenti professori dicono che i docenti per essere tali devono essere seminatori di dubbi. Io preferisco dire che il docente, l’educatore è seminatore di domande.
Ma prima tutti noi, genitori, docenti, educatori dobbiamo trovare il coraggio di porle a noi stessi queste domande: che cosa resta di quest’anno?
don Ermanno Caccia