Editoriale del n. 44 del 15 dicembre 2013


Ora la scommessa è la legge elettorale

 

Alla prova di maturità

di Luigi Lamma

 

Il fine settimana del 7 e 8 dicembre 2013 va segnato sul calendario della politica italiana come auspicio, si spera, di una ritrovata normalità, per scrivere la parola fine ad una transizione infinita dalla Prima Repubblica. La nascita del Nuovo Centro Destra e l’affermazione quasi plebiscitaria per Matteo Renzi alla guida del Partito Democratico costituiscono due significative fratture rispetto al recente passato. E’ sufficiente ricordare quali erano i contendenti in lizza alle ultime elezioni politiche di febbraio e quali, con ogni probabilità, potranno essere quelli che si sfideranno alle prossime: un gruppo di quarantenni (Alfano, Meloni, Renzi, Salvini) pronti a contendere la scena sia al nuovo partito berlusconiano, sia all’inquietante fazione dei grillini guidati via web e nelle piazze dalle farneticazioni del loro leader.
Un paese normale si diceva, dove in prospettiva si potranno confrontare due coalizioni maggioritarie che si rifanno alle grandi tradizioni della politica europea, quella popolare e quella socialdemocratica, ma con interpreti nuovi, appartenenti a generazioni che hanno iniziato a far politica dopo la caduta del muro di Berlino, capaci di individuare risposte in sintonia con il comune sentire dei più giovani nella società, nella cultura, nel lavoro.
Due coalizioni sì alternative ma capaci di trovare anche le ragioni di un’alleanza, come sta accadendo in diversi paesi europei, per affrontare con il contributo di tutti una crisi senza precedenti.
Nel 1994, l’allora leader del movimento referendario Mario Segni, al termine della sua parabola politica scrisse un libro dal titolo significativo ‘La rivoluzione interrotta’, riferendosi a ciò che produsse la discesa in politica di Silvio Berlusconi con Forza Italia, sul tentativo di ripartire dopo le macerie lasciate dalla stagione delle sentenze di Mani Pulite. Cosa hanno invece prodotto gli ultimi venti anni è purtroppo davanti agli occhi di tutti, un paese immobile, dove i problemi anziché risolversi si sono incancreniti, dove le riforme vere restano un miraggio, un ventennio che ha trasformato gli italiani in un popolo di ‘sciapi e infelici’ secondo l’ultima indagine del Censis. La rivoluzione evocata da Segni era iniziata con la vittoria nei referendum sulla legge elettorale che portò prima alla nuova legge per l’elezione dei sindaci e poi alla prima legge maggioritaria con l’esperienza poi abbandonata dei collegi uninominali, passando poi per il Mattarellum e per finire al cosiddetto Porcellum. Oggi di fatto siamo allo stesso punto di partenza di venti anni fa quando, solo grazie all’esito di un referendum, il Parlamento fu costretto ad approvare una nuova legge elettorale. Si è capito molto bene però che alla cultura politica italiana non si addice un sistema forzatamente maggioritario, che il bipolarismo è una semplificazione che fa comodo alla comunicazione politica e alle campagne elettorali televisive ma non trova corrispondenza nella rappresentanza della società civile. Ciò che serve invece è un sistema che, oltre ad assicurare la governabilità, prima di tutto restituisca all’elettore il diritto di scegliere i propri rappresentanti come ha sancito anche la sentenza della Corte. E’ questo il primo, vero, banco di prova dei nuovi leader quarantenni, la sfida che misurerà la loro capacità di non impantanarsi nella melma malsana alimentata da chi vuole che tutto resti come prima.
Altro approfondimento merita l’effetto Renzi sul Pd a livello locale, quali gli equilibri che si possono attendere in vista delle amministrative della prossima primavera. Che significato attribuire poi all’esito di un voto, quello delle primarie aperte a tutti gli elettori, che di fatto ha sconfessato quello di sole due settimane fa che ha visto esprimersi gli iscritti ai circoli: da un sostanziale pareggio tra Renzi e Cuperlo ad un 74% solo per il sindaco di Firenze. Anche questi numeri vorranno pur dire qualcosa.