Editoriale n. 07 del 23 febbraio 2020

Preparazione al matrimonio e sfida educativa

Riscoprire il valore della promessa  

A leggere la relazione annuale del tribunale ecclesiastico, chi come me si occupa di matrimoni sia per lavoro – sono un avvocato – sia a livello pastorale, rischia di essere preso dallo sconforto. Ci si sposa sempre di meno; si è recentemente assistito al “sorpasso” dei matrimoni civili rispetto a quelli religiosi e, riguardo a quei sempre più pochi matrimoni in chiesa, le cause di nullità prevalenti sono legate a gravi vizi del consenso. Lo sconforto deriva da un lato dal fatto oggettivo che l’abbandono del matrimonio, sia civile che religioso, come scelta di vita sottintende una generale mancanza di fiducia verso il futuro – la precarietà economica, è innegabile, gioca un ruolo importante -, ma anche verso se stessi e verso l’altro – la società liquida, così ben delineata da Bauman, insegna.

La tristezza aumenta altresì se si considera che, nonostante il tanto lavoro a monte delle varie commissioni pastorali, coppie guida e sacerdoti che si impegnano per la preparazione dei nubendi, a valle, molti matrimoni risultano invalidi per immaturità patologica o addirittura per problemi psichiatrici tali da non poter fare esprimere un valido consenso.

Ci si potrebbe chiedere a cosa servono i corsi di preparazione al matrimonio se arrivano a sposarsi soggetti che nemmeno hanno capito quali sono gli impegni connessi al matrimonio. Come è possibile? Ed è possibile in sede di preparazione al matrimonio accorgersi di tali criticità per evitare celebrazioni così “viziate”? La domanda è tutt’altro che retorica.

È pur vero che proprio in sede di incontri di preparazione, alcune coppie hanno capito che non era il caso di sposarsi, ma più in generale né i sacerdoti, né le coppie guida hanno gli strumenti per accorgersi di patologie psicologiche o psichiatriche, né più in generale possono fare esami o dare patenti di maturità. Non dimentichiamo, infatti, che i corsi prematrimoniali sono sempre meno “scuola di catechismo” e sempre più percorso di accompagnamento e testimonianza. I nubendi, del resto, sono sempre meno giovani “fidanzati” ma sempre più coppie, conviventi e spesso con figli che già vivono esperienze di vita quotidiana insieme.

Del resto, avere figli e credere all’indissolubilità di un vincolo è sempre più “controcorrente”, quasi inconcepibile per il mainstream in cui siamo immersi.

Non meraviglia che qualche matrimonio sia invalido per questi motivi. I corsi, invece, non riescono ad intercettare vulnus di base quali immaturità e incapacità psicologiche o psichiatriche. Perché?

Occorre onestamente riconoscere che immaturità, incapacità di assumere obblighi e doveri, mantenere promesse e fare sacrifici sono situazioni parecchio diffuse: fanno parte di quella rivoluzione culturale che ha portato alla precarietà dei giorni nostri, al relativismo pratico, alla liquidità di sentimenti e volontà, alla dittatura del desiderio.

Come avvocato, mi confronto ogni giorno con crisi di  relazioni – matrimoniali e non – e posso dire con certezza che quella incapacità che riscontra il Tribunale Ecclesiastico è la stessa superficialità che lamentano i professori a scuola per non pochi ragazzi; è solo l’altra faccia del disagio che porta a evitare impegni sociali – rifiuto di avere figli e del “per sempre”, sino addirittura a patologie psichiatriche, disturbi alimentari, ritirati sociali – o che si riflette in un egocentrismo esasperato, talvolta grave al punto da degenerare in violenza domestica, bullismo o cyberbullismo ad ogni età.

Occorre prenderne atto: proprio quella libertà, autoreferenzialità ed autodeterminazione che rincorriamo e riconosciamo sempre prima e sempre più come valore, ha come contrappasso la difficoltà di accettare limiti, vincoli e doveri verso se stessi e verso gli altri. Si tratta certamente di una sfida educativa che parte ben prima dei corsi prematrimoniali: parte inevitabilmente dalla famiglia, passando per la scuola e per le comunità pastorali.

La sfida è proporre come famiglie e come parrocchie e movimenti ideali alti ma fattibili, esempi trascinanti di libertà che faccia crescere e che si assuma responsabilità. Occorre rispolverare il concetto di promessa e rispetto per impegni e parola data. A livello pastorale, ai corsi di formazione al matrimonio occorre affiancare dei percorsi di condivisione post matrimoniale in cui condividere esperienze positive e negative del vivere insieme, perché si può maturare e diventare grandi insieme, alla luce della fede. Sì, perché non dobbiamo dimenticarci che oltre che un problema sociologico, ogni fallimento matrimoniale è anche una vocazione tradita, è un’occasione di felicità mancata.

Silvia Pignatti