Editoriale n. 42 di Domenica 6 dicembre 2020

Davanti al disagio inerzie, commenti social e moralismi? Quali risposte a chi sta “sulla soglia”

Sabato sera, ore 18, messa in Cattedrale: chiesa piena, nei limiti consentiti. Verso la fine mi accorgo che Marta (che ormai da diversi mesi si presta per la vigilanza serale, un servizio preziosissimo) si muove correndo verso la porta di destra dalla quale arrivano rumori insoliti. Capita sovente di essere disturbati dai ragazzi che sostano nelle vicinanze. Poco dopo, terminata la celebrazione, mi reco con Natale, il sagrista, a chiudere la chiesa e mi accorgo del sagrato stipato di persone: un grande assembramento. Polizia, Carabinieri, Vigili e due ambulanze. Gli stessi volontari hanno ritenuto di coinvolgere le forze dell’ordine perché “Gianni (nome di fantasia, ndr) è entrato in chiesa in bicicletta, completamente ubriaco”. Già circolano dei video che riprendono quanto accaduto mentre, inconsapevolmente, celebravamo la nostra messa. Diverse persone, giovani e meno giovani, si avvicinano per mostrare col loro cellulare, come trofei, quello che mi ero perso. Gianni è un quarantenne italiano che da un paio di settimane arriva al mattino presto per entrare in duomo, dopo aver verosimilmente dormito all’aperto. Le prime volte si coricava sui banchi, poi gli abbiamo fatto capire che non sta bene: i banchi servono per pregare. Si fa fatica a ragionare con lui: a volte gli dici una cosa e ne risponde un’altra. E’ spesso confuso. Un giorno arriva chiedendomi: “Cos’è la spada dello Spirito?”. Lo guardo con commiserazione, immaginando una farneticazione. Me ne pento quasi subito quando, prendendo in mano le letture del giorno, vedo nella prima lettura: “La spada dello Spirito è la Parola di Dio”. Mi sento un po’ in colpa. Tornando al sagrato, si avvicinano due persone anziane. Intuisco possano essere i genitori e un po’ lo temo. Raccontano che il figlio di Gianni (quindi loro nipote) in piazza con gli amici, vergognandosi non poco della situazione, li ha allarmati facendoli precipitare lì. La scena è straziante: Gianni che in preda ai suoi deliri, accentuati dall’alcool, si mette ad inveire con frasi irripetibili sui due genitori inermi. Ci allontaniamo un poco: la loro presenza rischia di fomentare ulteriori escandescenze. Ne esce una storia straziante proprio a cavallo della pandemia: disagi psicologici, violenze domestiche, crisi lavorativa… un dolore immenso. Il lockdown di primavera sembra aver incrinato alcuni equilibri psichici e la situazione è precipitata in tutti i sensi. E soprattutto un appello accorato fatto alle istituzioni da parte dei genitori di Gianni: una richiesta, una supplica di aiuto. Nessuno che riesca a farsi carico, nessuno che possa intervenire. Effettivamente: anche adesso nessuno può fare nulla. Siamo sul sagrato, sono presenti più di una dozzina di agenti delle forze dell’ordine, due ambulanze… Cittadini che guardano, che sorridono, che insultano, che scuotono la testa, che sprecano moralismi. Una attrazione, comunque, in questa malinconica serata a ridosso di una zona arancione in arrivo. Nessuno che possa fare nulla. “Un Tso?”. Non è possibile: se la persona è ubriaca non si può attivare. Incredibile. “Le forze dell’ordine?”: non possono toccarlo. “I servizi sociali?” Sono già al corrente della situazione. “Il medico?”: le medicine ha smesso di assumerle e proprio questo ha fatto precipitare la sua situazione. Affiorano allora una serie di domande, di riflessioni. Quante famiglie si apprestano al Natale e vivono il dramma della solitudine davanti alla fragilità psicologica di uno dei suoi membri, in questo tempo in cui tutto è difficile e i livelli di ansia si alzano pericolosamente. Quanta superficialità rispetto al tema dell’abuso di alcool. Anche nelle nostre parrocchie e tra la gente “per bene”. Quanti giovani devastati da una droga che non è ritenuta tale. E poi una legislazione assurda che non è in grado di recepire la richiesta di aiuto e trasformarla in una azione concreta che non può essere, in questi casi, che coercitiva. E l’impatto mediatico: per giorni sono arrivati messaggi di persone, anche lontano da Carpi, che hanno colto dai social l’accaduto come qualcosa di curioso, di goliardico o al massimo di dissacrante. Una comunicazione, quella dei media, che deforma la realtà e maschera il dramma umano. Mi premeva che da Notizie, l’organo di comunicazione della nostra chiesa, riaffiorasse la realtà e fosse restituita come tale alla riflessione dei fratelli e sorelle nella fede. Nel consiglio pastorale della nostra parrocchia del Duomo spesso ci siamo chiesti come lasciarci interpellare da quello che accade sul nostro sagrato: ponte tra la piazza e la chiesa. Un grande caos spesso, ma forse anche una realtà da provare ad interpretare. L’arrivo sempre più frequente di persone in difficoltà… Abbiamo ipotizzato di far presidiare questo spazio da educatori di strada ma anche questo è un investimento a lunga scadenza. Resta la domanda che si carica di urgenza: abbiamo una Parola di speranza da poter spendere anche sulla “soglia” delle nostre chiese? Abbiamo delle strategie e delle prassi educative efficaci per farci carico delle problematiche reali delle persone? Abbiamo cristiani disposti a spendersi “sulla soglia” per accogliere i fratelli? Sappiamo collaborare con le istituzioni in modo virtuoso per creare intrecci di supporto davvero risolutivi? Il Verbo che entra nella storia illumini la coscienza e la capacità di impatto sulla nostra umanità, più che mai disorientata e bisognosa di essere abitata dal Signore.

Don Massimo Dotti