Omelia IV DOMENICA DI PASQUA * anno A *

Mons. Gildo Manicardi - Cattedrale di Carpi 3 maggio 2020

Diretta televisiva Tvqui

Dal vangelo secondo Giovanni Gv 10, 1-10 – Io sono la porta delle pecore

Sorelle e fratelli carissimi,
nelle prime domeniche di Pasqua la risurrezione ci è stata presentata a partire dall’impatto che questo evento, profetizzato da Gesù ma stranamente inatteso per i discepoli, esercita sulla vita dei credenti. Un po’ alla volta, la luce della risurrezione ha colorato le figure del “Discepolo amato”, di “Tommaso il Gemello” e dei “due discepoli di Emmaus”. Oggi, nella quarta Domenica di Pasqua, la comprensione del mistero della risurrezione si arricchisce con il tema del Pastore applicato a Gesù: Gesù, crocifisso e risorto, è il buon pastore e la porta che permette alle pecore di raggiungere la vera sicurezza e la vita piena.

1.   La giornata mondiale di preghiera per le vocazioni al ministero ecclesiale
Gesù non è soltanto il buon pastore, come qualifica sua personale, ma è anche il modello, unico e vero, e la sorgente dell’energia di chiunque abbia accettato la vocazione di essere un mandato da lui. Gesù ha voluto condividere il suo esser pastore con tanti dei suoi discepoli, che nel corso dei millenni hanno impegnato la loro vita a servizio degli altri. È per questo che oggi ricorre anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni al ministero ecclesiale.

Nel corso di una lunga storia ci sono certo numerosi cedimenti e degli scandali – ai nostri giorni purtroppo particolarmente penosi! – ma, per un’autentica grazia, si sta realizzando anche la parola promessa attraverso Geremia: «Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza» (Ger 3,14s). Sì, è vero. Anche nei giorni della nostra vita sta continuando il dono di tanti «pastori secondo il suo cuore», che sostengono e arricchiscono la vita spirituale di tutti noi. Invochiamo perciò il Signore, senza stancarci, affinché l’immagine del pastore crocifisso e risorto si rifranga nella figura dei ministri della Chiesa e i nostri pastori arrivino sempre più alla fedeltà difficile, libera e coraggiosa, cui sono chiamati.

2.   Il pastore nella Bibbia
La Bibbia d’Israele ha insegnato con costanza che «il Signore è il mio pastore» e che perciò «non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia» (Sal 22). Nel tempo messianico, anche il Figlio di Davide si è mostrato quale vero pastore, soprattutto donando la sua vita nella morte per difendere le pecore dai lupi e liberarci così dal peccato. Nell’ultima cena Gesù ha ripreso propria la sorprendente profezia di Zaccaria. Quando annunciò: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea» (Mc 14,27s), applicò all’imminente fuga dei suoi discepoli la predizione della morte del pastore e del cedimento dei suoi amici.

La risurrezione dà a Gesù la possibilità di camminare ancora davanti a noi e di trasmetterci la potenza della vita rigenerata dall’amore crocifisso. In quanto risorto egli ci guida, ci cura e ci dischiude un nuovo futuro. La passione e la morte lo hanno reso sensibile alle situazioni di dolore e di fatica: «egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome», e «quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse». Si staglia qui, però, il pericolo costante che noi diventiamo pecore erranti o che, al di là delle parole, noi rimaniamo disorientati e senza guida vera. La Prima Lettera di Pietro ce lo ha ricordato: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime».

3.   La triade negativa: ladri–briganti–estranei
Va tenuta presente la possibile, inoltre, la possibile negatività dei finti “pastori”. Non a caso Gesù contrappone al pastore buono la triade negativa dei ladri, dei briganti e degli estranei. C’è sempre stato chi pretende di guidare le pecore, ma che, di fatto, realizza una guida catastrofica: «chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante». Ci sono pastori che, anche se riescono ad avvicinano le pecore, in realtà finiscono per renderle ancora più disperse e mal orientate. Il criterio unico dell’autenticità pastorale è quello della “porta”: «Io sono la porta delle pecore». Per essere pastori bisogna passare per quell’unica porta. Tutto quello che noi facciamo nella Chiesa – presbiteri diaconi, catechisti, educatori, vescovo, religiosi e religiose – è vero solo se siamo entrati passando per Cristo. Solo lui è la via e solo lui è la porta. Talvolta è proprio «la porta stretta», ma è l’unico passaggio che apre sull’unica comunione piena e al servizio sincero degli altri.

4.   Preghiera per le vocazioni nella nostra diocesi
Poco fa abbiamo pregato esprimendo gratitudine al Signore per i tanti buoni pastori che ci sono dati anche oggi. Occorre, però, aggiungere la domanda per avere un numero maggiore di sacerdoti, anche nella nostra diocesi. Papa Francesco ci suggerisce di dire in questa giornata delle vocazioni: «(apri, Signore,) brecce nel cuore di ogni fedele, perché ciascuno possa scoprire con gratitudine la chiamata che Dio gli rivolge, trovare il coraggio di dire “sì”, vincere la fatica nella fede in Cristo e, infine, offrire la propria vita come cantico di lode».

Nel corso della storia è successo sempre che delle pecore, che si sono sentite ricondotte e custodite bene, si siano offerte per aiutare il Pastore supremo. Oggi vediamo una partecipazione nuova, molto attiva, entusiasta e responsabile di tantissimi fedeli alla vita della Chiesa. In una così grande misura, non era mai successo nel passato. È un dono tipico e stupendo della Chiesa di oggi. Rimane, però, un problema collaterale, ma non minore. Oggi la esiguità numerica di pastori ordinati rende difficile capillarizzare la presenza della Chiesa. Carpi deve molto in questo momento a quella ventina di sacerdoti fidei donum, che si stanno integrando sempre più felicemente nella pastorale, diciamo, “padana”. È necessario che la nostra preghiera si faccia insistente e che il nostro discernimento divenga più chiaro e deciso. Il Signore, inoltre, ci sta sostenendo con un numero decisamente alto – in proporzione con situazioni omologhe alla nostra – di candidati al ministero ordinato. Sono cinque i giovani che stanno verificandosi sulla chiamata al presbiterato. La verifica dell’autenticità di un loro desiderio personale passa in questi anni attraverso il vaglio ecclesiale del nostro seminario. Anche per questo occorre la preghiera unanime di tutta la Chiesa: chiediamo che le sementi sparse dal Signore crescano bene. Dobbiamo pregare non solo per saper accogliere i fidei dona, che ci vengono dalle giovani Chiese, ma anche avere ministri che ci aiutino qui e per poter riprendere a inviare missionari – uomini e donne – che sostengano la fede anche in altri continenti.

5.   Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Gesù non ci ha destinati a vivacchiare: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». La nostra vocazione è vivere in pienezza spirituale anche nei tempi della pandemia. Il Signore non ci dice certo “sono venuto, sono risorto e vi precedo, ma per ora vi lascio nel covid-19”. Dobbiamo rinnovare la nostra fede ed estinguere paure, incertezze ed angosce. Sulle soglie della “fase due”, tanto entusiasmante quanto inquietante, tiriamo fuori il coraggio: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza». Buon cammino nei giorni della Pasqua, da vivere anche quest’anno come il più specifico contrassegno cristiano. Diffondiamo la gioia della risurrezione che ci aiuta anche a spingere altri verso l’uscita dalla tristezza. Il nostro futuro non è la morte o la malattia, ma Gesù risorto che ci attende e ci guida anche quando la valle è oscura.

Amen – Sia lodato gesù Cristo risorto dai morti