Omelia del Vescovo nel 75° del martirio di don Venturelli

 

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Omelia di monsignor Erio Castellucci nella celebrazione per il 75° del martirio di don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli e Medaglia d’Oro al Valor Civile

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Memoria del 75.mo anniversario  della morte di don Francesco Venturelli

Cattedrale di Carpi – 17 gennaio 2021

II Domenica del Tempo Ordinario – anno B

– 1 Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42 –

“Maestro, dove dimori?”. La risposta di Gesù ai due discepoli del Battista che lo stanno seguendo è piuttosto inconsueta. Potevano aspettarsi di sentire nominare da lui una città, un villaggio o almeno un quartiere, ma certamente non immaginavano di sentire questo misterioso: “Venite e vedrete”. Da parte di Gesù non però è una risposta evasiva, non è solo un invito a fare strada con lui per scoprire la sua casa. No: “venite e vedrete” è proprio la sua dimora. La dimora di Gesù è il cammino stesso che dovrà compiere insieme a loro, insieme ai discepoli. Per questo parla al futuro: “vedrete”. E vedranno in poco tempo, cominciando a seguirlo, che la sua dimora non è un luogo stabile; la sua dimora è la strada, il lago, le colline, i campi, i villaggi. Gesù dimora, cioè, dove dimora l’uomo, che è per natura pellegrino. Il Vangelo insiste perciò sui verbi di movimento e li ripete più volte in poche righe: passare, seguire, venire, andare, condurre. L’abitazione di Gesù il cammino degli uomini, il sentiero incerto, gioioso o faticoso, che ciascuno di noi percorre nella vita.

“Maestro, dove dimori?” Se la sua casa è il sentiero, i discepoli non dovranno meravigliarsi quando Gesù andrà incontro ai poveri, ai peccatori, agli ammalati, ai sofferenti; condivideranno loro stessi il suo stile itinerante, che non attende chiuso in casa l’arrivo della gente, ma la va a scovare lui stesso, anche nei luoghi e nelle situazioni poco adatte per un Rabbì, anche negli spazi profani e sconsacrati. Non dovranno scandalizzarsi neppure di fronte alla croce, dimora poco desiderata ma purtroppo molto affollata, che tante volte ci ospita ed è la casa di tutti i sofferenti. Quei discepoli avranno comunque tutta la nostra comprensione quando fuggiranno – quasi tutti – davanti alla croce, perché nessuno pianta la tenda volentieri sul Golgota. Gesù però non poteva schivare proprio quella dimora, se voleva davvero abitare la nostra vita, condividere tutto con noi, come gli chiedeva il Padre. E proprio perché il Figlio obbediva a Dio, Padre suo e di tutti, non poteva tirarsi indietro quando gli fu chiesto di abitare fino in fondo la condizione dei fratelli, di noi, compresa la morte, e la morte peggiore.

Chi segue Gesù non cerca una comoda sistemazione, una dimora stabile; chi segue Gesù trova casa nel cammino dei fratelli e si lascia condurre là dove il Signore lo chiama, e lì pianta la sua tenda; si lascia guidare anche sui sentieri più incerti, e lì lavora e abita. Don Francesco Venturelli, di cui ricordiamo il 75.mo anniversario della morte violenta, si è messo in fila con i due primi discepoli che hanno seguito Gesù. “Maestro, dove dimori?” “Vieni e vedrai”, si è sentito rispondere Francesco. Ed è andato, ha scelto di seguire il Signore come prete, ha servito la sua gente abitandone le fatiche, le povertà, le risorse, i desideri. Si è speso da vice-parroco a Mirandola, nella prossimità alla popolazione da poco uscita dalla prima guerra mondiale; si è dedicato all’educazione dei bambini e dei ragazzi, accompagnando i primi passi dello scoutismo. E poi ha risposto di sì alla richiesta di diventare parroco a Fossoli.

“Signore, dove dimori’”. “Vieni e vedrai”. Non avrebbe mai immaginato, come i due primi discepoli, che avrebbe visto il Golgota. La sua parrocchia infatti, pochi anni dopo l’inizio del ministero parrocchiale, divenne quella “Fossoli” che l’ha resa poi famosa dovunque: prima, in mano ai tedeschi, come campo di concentramento e di smistamento verso i campi di sterminio nazisti, dove vennero internati profughi, prigionieri di guerra, ebrei, uomini politici e lavoratori coatti; poi, capovolta la situazione, il campo passò in mano al Comitato di Liberazione Nazionale e si popolò di dispersi, tedeschi e membri del passato regime fascista. Ma questo rivolgimento non aveva capovolto il cuore pastorale del parroco, che sentiva anche il campo come parte della sua comunità, chiunque vi fosse internato.

“Chiunque”: don Venturelli ha dato una mano a chiunque, senza guardare la nazionalità, la condizione sociale, la fede religiosa o il colore politico. Ha aiutato cristiani, ed ebrei, italiani e stranieri, persone di destra e di sinistra; ha aiuto chiunque abbia incontrato nella sua dimora, Fossoli, che era diventata un crocevia di sofferenze e di violenze inflitte e subite. Don Francesco ha abitato, come Gesù, le scomode dimore della vita umana, portando lampi di luce dove prevaleva il buio. Il denaro, le medicine, il cibo, i vestiti erano come piccoli lampi di luce, e così le lettere smistate dal campo o recapitate ai prigionieri. Fu davvero il “parroco del campo”, di chiunque vi passasse, proprio perché non aveva fatto una “scelta di campo”, scegliendo di seguire solo il Maestro, abitando quella dimora incerta che è l’uomo.

Impegnandosi ad aiutare “chiunque”, il parroco di Fossoli imitò il buon samaritano, che si fermò a soccorrere il ferito al ciglio del sentiero, senza guardare la stirpe e il credo. Il samaritano della parabola, in realtà Gesù stesso, è il prossimo che si china su chiunque abbia bisogno. Il chiunque della prossimità è il contrario esatto del qualunquismo, indifferente ad ogni situazione. Il mistero, ancora velato, che avvolge l’assassinio di questo martire del ministero pastorale – pur auspicando che, come dovrebbe sempre accadere, venga prima o poi completamente svelato – in un certo senso si addice alla sua scelta di servire chiunque, senza nemmeno conoscere bene la sua identità. Certo don Francesco, come risulta dalle testimonianze di chi lo ha frequentato nelle sue ultime settimane di vita, sapeva di essere nel mirino; esprimeva preoccupazione, dava disposizioni per la sua sepoltura, manifestava delle premonizioni. E quando quell’uomo qualunque lo chiamò fuori per tendergli una trappola, il pastore, pur sospettando l’inganno, non volle trascurare la possibilità che vi fosse davvero una persona a cui portare i sacramenti, un uomo chiunque che aveva bisogno di lui. Come altri parroci, uccisi a tradimento in quel tempo di accuse e vendette, anch’egli cadde per avere abitato fino in fondo la dimora del suo Maestro, la croce, passaggio per il regno riservato ai miti, agli operatori di pace e di giustizia, ai servi fedeli di Dio e dell’uomo.

 Erio Castellucci, vescovo



Si ricorda il 75° anniversario del martirio  di don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli,  medaglia d’oro al valor civile:

Domenica 17 gennaio alle ore 18 in Cattedrale a Carpi  la messa presieduta dal vescovo Erio Castellucci

La celebrazione sarà trasmessa in diretta
sul canale youtube Notizie settimanale della Diocesi di Carpi

 “Se facciamo memoria di questi eventi non è certo per ricordare la malvagità di chi ha ucciso ma perché non vada dispersa la testimonianza di chi ha saputo rimanere fedele alla sua missione di pastore soccorrendo caritatevolmente persone bisognose dall’una o dall’altra parte del conflitto…”. E’ con questa intenzione che la Chiesa di Carpi invita la comunità ecclesiale e civile a celebrare il 75° anniversario del martirio di don Francesco Venturelli, sacerdote carpigiano, assassinato a Fossoli il 15 gennaio 1946.

Domenica 17 gennaio in Cattedrale a Carpi, alle ore 18, sarà il vescovo di Carpi, monsignor Erio Castellucci a presiedere la concelebrazione alla quale sono state invitate le Autorità civili e militari, in particolare dei Comuni di Carpi e di Mirandola, dove don Venturelli esercitò il suo ministero sacerdotale.

Don Francesco Venturelli è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile da parte del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il 25 aprile 2006 con questa motivazione: Sacerdote di elevate qualità umane e civili, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, si prodigò con eroico coraggio e preclara virtù civica in favore dei cittadini ebrei, dei prigionieri politici e degli internati civili nel Campo di Fossoli, procurando loro medicine, cibo e capi di vestiario. Dopo la Liberazione continuava la sua opera di assistenza in aiuto di appartenenti alla Repubblica di Salò e all’esercito tedesco sbandati, fino alla barbara uccisione da parte di uno sconosciuto. Fulgido esempio di coerenza, di senso di abnegazione e di rigore morale fondato sui più alti valori cristiani e di solidarietà umana. 1943 – 1946 Fossoli (MO)”

Nel gennaio del 2006 con una celebrazione presieduta dal vescovo Elio Tinti, i resti mortali di don Venturelli vennero trasferiti dalla chiesa madre di Fossoli alla chiesa nuova.

 


SCHEDA BIOGRAFICA

La famiglia, il seminario, il sacerdozio: profilo biografico di don Francesco Venturelli (1887-1946)

Un uomo che ha fatto il prete, fino in fondo

Francesco Venturelli nacque il 31 marzo 1887 a Ganaceto di Modena. Da ragazzo lasciò i genitori, il fratello e le quattro sorelle per entrare nel seminario modenese e poi in quello carpigiano.

Sacerdote a Mirandola e servizio militare

Fu ordinato prete il 20 settembre 1913 a Carpi. Dopo due settimane, fu inviato come cappellano di Santa Maria Maggiore a Mirandola, allora retta, fino al 1927, da monsignor Roberto Maletti.   Era da poco tempo a Mirandola, quando fu arruolato per il servizio militare. Aveva due opzioni: cappellano o servizio sanitario. Optò per la sanità. Tornato a Mirandola, animò la pastorale giovanile d’intesa con il parroco. Volle sperimentare il nuovo metodo scout, che attuò con accuratezza, comparandolo con quello più tradizionale di Azione Cattolica.

Nel 1935 è parroco a Fossoli

A ben 48 anni divenne parroco di Fossoli, piuttosto avanti negli anni per un tale incarico. Comprensibile, d’altra parte, se pensiamo che le parrocchie della diocesi erano 31 e i preti 90. Fossoli contava 3.028 abitanti; Carpi 13.793. Ecco come don Venturelli descrisse la sua nuova parrocchia nella Rubrica, un quaderno nel quale annotava gli avvenimenti di rilievo fino a tutto il 1945: “Popolazione buona, e socialista sempre ma non rivoluzionari. Subìto il fascismo, accettato mai, ma senza reazioni serie se non qualche ragazzata. Maggior parte: braccianti, cioè lavoratori quando ne trovano. Scure e antigieniche le abitazioni quindi non amanti della casa. Mangiano fuori davanti alla porta con il piatto in mano. Abulici e reattivi allo studio. Nulla avendo, avidi di tutto e specialmente di divertimento”. Aggiunse poi, sempre con stile telegrafico: “Religiosamente: indifferenza, assenza degli uomini come dappertutto lontani per principio; politica: vecchia socialista che i dirigenti hanno dato un indirizzo anticlericale. Partecipano alle funzioni di Pasqua e Natale e di S. Antonio del porco perché è loro protettore”. Il “senso pratico” lo visse non solo nel fedele servizio del ministero, ma anche in opere come il campanile innalzato ex-novo, il sostegno all’Asilo parrocchiale, un nuovo altare in chiesa, l’apertura della canonica ai ragazzi e un nuovo contratto mezzadrile.

Il rapporto con il Campo di Fossoli

L’attività per la quale è più noto don Venturelli è l’assistenza pressoché quotidiana prestata al Campo di Fossoli dal luglio 1942 fino alla morte. Don Venturelli era consapevole di essere in pericolo. Dal novembre 1945 lo ripeteva espressamente e dava disposizioni per la sua sepoltura. Anche altri preti erano nel mirino e vennero assassinati. Nonostante le raccomandazioni, in quel clima pesante continuava assiduamente a far visita a tutti. Quando però cominciò a portare ai detenuti il giornalino “La Lanterna”, di “ispirazione antidemocratica” come scriveva “la Voce del Partigiano” di Modena del 13 gennaio 1943, venne “avvertito”. Per tre volte trovò tagliati i copertoni della bici, ma apparentemente non dette importanza: “ragazzate” diceva. La predetta “Voce” nello stesso testo insinuò, con una nota in evidenza, che il prete stesse dalla parte “dei traditori del popolo italiano”. Don Francesco era piuttosto alto e massiccio, ma non obeso. Aveva una voce grave e pastosa. Il taglio dei capelli era a spazzola o all’umberta, come si diceva allora. Non era di molte parole, ma parlava proprio a tutti ed era percepito come un prete “popolare”. Le parole che diceva sapevano anche consolare, incoraggiare, come ricordano varie persone venute a Fossoli per attingere informazioni o certi ragazzi aiutati per le difficoltà scolastiche. Viveva in una bella canonica con la sorella nubile Adalgisa, Cenere e la cara mamma, che morì nel marzo 1942. Commentò nel suo stile: “Donna di fede” e null’altro. La sobrietà e la precisione caratterizzano i suoi scritti. Era solito dedicare il martedì alla lettura. La sua biblioteca non si era fermata ai volumi del seminario e conteneva anche vari libri da far leggere ai ragazzi.

La fine

La sera del 15 gennaio 1946 uno sconosciuto bussò alla canonica. Chiamava il prete per un ferito steso sulla strada statale. La sorella cercò di dissuaderlo dall’andare, ma lui, senza rispondere, prese il necessario e andò subito. C’era la neve. Dopo pochi passi nello stradello che portava alla pubblica via, un colpo di pistola a bruciapelo lo colpì alla tempia destra e uscì dall’occhio sinistro. Mentre si accasciava, un secondo colpo lo raggiunse alla schiena. Il killer fuggì immediatamente sull’auto che l’aspettava. Il mezzadro e il sagrista accorsero e lo caricarono esanime sul “carriolo” agricolo e lo stesero in canonica sul bigliardo. Il giorno 17 al mattino il vescovo Vigilio Federico Dalla Zuanna fece visita alla salma e il 18 presiedette i funerali, per i quali impose un profilo basso. Presenziarono le due donne di casa, due preti, il sagrista e due parrocchiane. Fu sepolto nel cimitero comunale. La tristezza di alcuni parrocchiani stridette con la manifesta soddisfazione di altri, che si spinsero fino alla derisione. Il mese dopo il vescovo celebrò una solenne messa di suffragio in cattedrale. Il Comune di Carpi gli ha dedicato una piazza. Il 25 aprile 2006 il Presidente della Repubblica gli ha conferito la medaglia d’oro al valor civile.

“Per me – afferma don Carlo Truzzi – è ben più importante che cosa pensava la vittima. Visse i suoi anni con un forte senso del dovere e in particolare del dovere di sacerdote di Cristo. A un certo punto comprese, verso la fine del 1945, che c’era da fare un passo in più rispetto alle fatiche precedenti, che pure non furono poche. La sera di quel 15 gennaio venne il momento di dire un sì incondizionato. E’ stato l’ultimo sì, quello dell’autentico martire cristiano”.

Il testo integrale della biografia curata da don Carlo Truzzi si trova nella sezione dedicata al 75° anniversario del martirio di don Francesco Venturelli sul sito della Diocesi di Carpi, insieme ad altri contributi e approfondimenti:                                                                                    

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