Cattedrale di Carpi

Omelia della Domenica in Albis

Diretta televisiva Tvqui

Sorelle e fratelli carissimi,
la seconda Domenica di Pasqua è stata chiamata con molti nomi: “Domenica nell’Ottava di Pasqua”, Dominica in albis, “Domenica di Tommaso”, “Domenica della divina misericordia”.

1.   La Domenica della divina misericordia
La festa della divina misericordia, istituita nel 2000 da San Giovanni Paolo II, vuole realizzare quanto chiesto da Gesù a Santa Faustina Kowalska, mistica polacca di Cracovia, morta nel 1938. La richiesta, trascritta nel Diario di santa Faustina, dice: “Desidero che la festa della misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime. L’umanità non troverà pace finché non si rivolgerà alla sorgente della mia misericordia” (Diario 699).

Oggi è il ventesimo anniversario dell’istituzione di questa festa e Papa Francesco la sta celebrando nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, santuario romano dedicato alla promozione della spiritualità della Divina Misericordia. Nell’udienza di mercoledì scorso, il Pontefice ha esortato: «preghiamo Gesù Misericordioso per la Chiesa e per tutta l’umanità, specialmente per coloro che soffrono in questo tempo difficile».

La misericordia divina è viva anche nel tempo del covid-19: la risurrezione di Gesù getta i fasci penetranti della sua luce sui molti che sono tribolati, su coloro che sono morti, su quanti ancora hanno tanta paura e, tra questi, forse ci siamo ance noi. Dio, che ha risuscitato Gesù Crocifisso, non può dimenticare oggi gli altri figli che ha chiamato alla gloria insieme con lui. Il quadro, elaborato in base alla ispirazione mistica dalla Kowalska, fa vedere che dal costato ferito di Gesù risorto escono due fasci di luce, uno rosso come il sangue e uno chiaro come l’acqua del battesimo: è il fianco in cui Tommaso voleva infilare la sua mano per credere.

Le piaghe gloriose nel corpo risorto di Cristo, che Tommaso progettava di toccare, dicono che nella misericordia di Dio “c’è ancora un buco”: perdonatemi l’immagine, in questo “buco” può entrare chiunque soffre o ha sofferto. Come invoca il canto dell’Anima Christi, anche oggi tanto amato, pure noi possiamo e dobbiamo invocare, ricuperando l’audacia di Tommaso: Intra vulnera tua absconde me – «nascondimi dentro i segni dei tuoi chiodi».

2.   Tommaso, lo strano “Gemello”
Il personaggio dell’ottavo giorno di Pasqua è «Tommaso, il gemello». In ebraico Tommaso vuol dire “gemello”. Il testo del Vangelo affianca questo nome con l’equivalente greco «Didimo», ossia appunto “gemello”. La nostra versione italiana traslittera il greco proponendo una specie di nome doppio: «Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20,24).

La prima domenica di Pasqua, otto giorni or sono, la figura chiave è stata quella del “Discepolo amato” da Gesù. Il suo arrivo alla fede, addirittura prima di Pietro, fa capire che ciò che ci rende capaci di arrivare alla fede è l’amore di Gesù per noi e non soltanto il nostro slancio verso di lui. Il nostro amore è solo una risposta al suo. Proprio nella fede pasquale si attua il detto della Prima Lettera di San Giovanni: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19).

La prima mattina di Pasqua, l’Arcivescovo Erio ci ha perciò ricordato on questa stessa cattedrale: «La fede cristiana consiste essenzialmente nella coscienza di essere amati dal Signore, di essere quel “Discepolo amato” che non smette mai di essere amato, nemmeno quando esprime paura ed esitazione. Siamo amati dal Signore: questa è la grande forza pasquale, che dà senso ad ogni istante, anche alla croce. […]Il Risorto non ci preserva dal dolore, ma lo porta insieme a noi e ci apre la prospettiva della risurrezione, della vita eterna».

Otto giorni dopo la scoperta del sepolcro vuoto, «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei» si completa l’incontro dei discepoli con Gesù. Questa volta c’è anche “Tommaso il Gemello” e in lui si completa la storia del “Discepolo amato” con quella – non meno avvincente – dell’arrivo alla fede di colui a cui Gesù fa superare la difficoltà di credere. Scopriamo perciò facilmente in che senso Tommaso è un gemello: è l’insospettato gemello del discepolo amato da Gesù. È l’altro lato del mistero dell’amore/fede ed è il rovescio del nostro credere.

Chiudiamo l’ottava di Pasqua con questa duplice consapevolezza: tutti noi siamo, al tempo stesso, il “Discepolo amato” e siamo “Tommaso il gemello”. Arriviamo alla fede perché amati, ma spesso cominciamo a credere solo con non lieve fatica. L’istinto positivistico e la cultura diffusa ci orientano in tutt’altre direzioni. La fatica della fede, oggi evidente e innegabile, si rivela, particolarmente, nella maggiore distanza di tanti giovani dal credere. Perché nelle nostre chiese ci sono così tanti giovani in meno rispetto agli adulti e agli anziani? Penso che i questo salto numerico si riveli la difficoltà che oggi molta cultura vive davanti alla fede. Dentro la mentalità contemporanea la voce del vangelo appare attenuata, molto felpata e scolorita, e, potremmo dire, maldestramente filtrata.

San Paolo VI aveva sottolineato, con straordinaria lucidità, a dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, oltre mezzo secolo fa: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata» (EN 20; 8 dicembre 1975). Forse il vangelo non è ancora entrato adeguatamente nella mentalità contemporanea: per esempio, dobbiamo credere dentro un rivestimento culturale che è cambiato rispetto a quello delle narrazioni bibliche. Queste ultime descrivono il mondo in una rappresentazione fortemente fissista. Tutti noi – e i nostri giovani in particolare – siamo, invece, cresciuti in una prospettiva prevalentemente – o almeno incipientemente – evoluzionistica. Occorre dunque ancora molto impegno per elaborare con intelligenza una visione del mondo che raccordi i dati della fede –come appunto la risurrezione di Gesù e la nostra futura vita eterna con lui – con le rappresentazioni che si affermano nella cultura contemporanea. Oggi siamo in una urgente, anche se spesso imbarazzante, inevitabile alleanza tra vita umana e intelligenza artificiale. Non ci aspettiamo forse anche dalle intelligenze artificiali un aiuto decisivo nella seconda fase della pandemia covid-19?

Nel racconto di Tommaso, però, c’è anche un tratto estremamente consolante. Quando infatti Gesù fa capire che il suo corpo risorto è adatto al proposito positivistico e sperimentale dell’Apostolo, senza procedere nel suo tentativo, l’ex incredulo proclama: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). È importante ricordare bene che queste parole, nel vangelo giovanneo, sono la più completa e impegnativa confessione di fede in Gesù. Non è un caso che una devozione eucaristica più che millenaria suggerisca al fedele di dire sottovoce proprio queste parole, mentre il celebrate mostra il pane e il calice dopo la consacrazione: «Mio Signore e mio Dio!».

Non dobbiamo banalizzare la figura di Tommaso, riducendolo alla macchietta di colui che non crede “se non ci mette il naso”. Tommaso confessa con schiettezza la sua fatica nel credere, ma mostra anche pronta intelligenza e generosità appena gli si apre la strada giusta. Non va dimenticato un episodio meno noto, ma che la dice lunga sulla personalità e il carattere di Tommaso. Quando Gesù sta partendo per Betania in soccorso di Lazzaro malato e morente, mentre gli altri discepoli erano bloccati dalla paura per il loro rischio mortale, proprio lui aveva lanciato una impegnativa sfida ai compagni: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Gv 11,16).

 

3.   Seri con l’intelligenza e generosi col cuore
L’impatto sulla nostra vita, che risulta da questa impostazione evangelica, è chiaro: ai cristiani di oggi è chiesto di essere seri con l’intelligenza e generosi col cuore. Per noi essere Tommaso – ossia essere non solo “il Discepolo amato”, ma anche “il suo Gemello” – vuol dire impegnare tutta la nostra intelligenza e affrontare, davvero e senza indugio, i problemi della cultura e anche della teologia. Al tempo stesso, però, è altrettanto necessario che il lavoro dell’intelligenza collettiva sia accompagnato dalla generosità personale e dal cuore dei singoli credenti.

Dopo Pasqua Gesù non si fa più vedere a suoi discepoli, ma fa ascoltare il suo vangelo predicato fino «a tutti i popoli» (Lc 24,47) e «fino ai confini della terra» (At 1,8). Infatti, Gesù proprio a Tommaso, diventato credente, ha detto: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29). Non è una facile scappatoia per spiegare l’invisibilità mondana del risorto. Se è vero che si vede l’invisibile solo con il cuore, allora l’ascolto è indispensabile più della vista. Solo l’ascolto interiore apre davvero gli occhi, proprio come ai discepoli di Emmaus, per i quali contò poco avere Gesù visibile davanti a loro, perché il loro cuore riuscì ad aprirsi soltanto ascoltando le Scritture e comprendendo il significato del suo spezzare il pane: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,25s).

L’ascolto è il modo in cui Gesù ci raggiunge oggi: non si fa vedere, ma ci fa ascoltare il Vangelo. Ascoltare, rispetto al vedere, si riferisce a una dinamica e a una antropologia più raffinata. L’ascolto funziona soltanto se entra dentro di noi, se c’è pensiero e discernimento e se noi impariamo a valutare i differenti rumori. L’ascolto scava un percorso dentro di noi, che passa attraverso tanta gioia e, molto spesso, tra grandi dolori.

Chiediamo al Signore che la sua parola ci renda dei Tommaso che vogliono vederci bene, ma che anche hanno imparato ad ascoltare creativamente. Penso che questi giorni comportino per tutti noi, come cristiani, una sfida possente: ascoltare le parole del Vangelo per vedere la luce di Gesù, crocifisso e risorto, nelle penombre della pandemia, tra i dolori immensi di tanti e la magnifica generosità che ha riempito il mondo lottando, spesso vittoriosamente, con l’angoscia e il dolore.

 

Il Signore è veramente risorto. Amen! Alleluia.