Omelia di monsignor Ermenegildo Manicardi nella Solennità di San Giuseppe

19 marzo 2020

Santa Messa in diretta televisiva – Carpi, Chiesa di San Giuseppe Artigiano

Una festa diocesana nel nostro santuario di San Giuseppe
In questo momento di grave crisi per l’intera umanità celebriamo la solennità di san Giuseppe nella chiesa di via Remesina, che di fatto è il più importante santuario del carpentiere di Nazaret nella nostra Diocesi. Si tratta di un santuario che, ormai da molti decenni, è la più grande parrocchia della città e che esprime lo sforzo di evangelizzazione di quell’industrializzazione che, a metà del secolo scorso, interessava rapidamente e un po’ convulsamente anche il nostro territorio. La nascita e la crescita sempre più esponenziale del cosiddetto “Villaggio Artigiano” condusse a questo sforzo fecondo e benedetto dal Signore.

Una festa del papà un po’ diversa
La giornata di oggi è vissuta da molti come festa del papà. Ma c’è una circostanza che la rende insolita: a causa del covit 19 molti figli, molti papà e molte mamme vivono questo giorno insieme, in una singolare clausura/quarantena necessariamente forzata. È una occasione opportuna per fermarci a pregare e a meditare su mistero della persona di San Giuseppe, facendo tesoro della lente di ingrandimento che ci offrono questa insolite circostanze. Stiamo scoprendo sempre di più in questi giorni che le relazioni nostre con gli altri sono molto più importanti di quanto pensassimo. Noi ci immaginiamo di solito come persone con una loro ricchezza e autonomia che bastano a se stesse. Il fatto di vivere in una comunità e in un ambiente esterno ci sembrava forse un’aggiunta facoltativa e un po’ arbitraria.  Adesso invece, di ora in ora, scopriamo che le relazioni sono decisive della qualità della persona e che in certo seno non c’è una persona senza le relazioni che la costituiscono. Scopriamo bene che noi siamo un dono e un rischio per gli altri e che gli altri – di fatto e al di là delle intenzioni – possono essere per noi o una fortuna o un pericolo mortale.

La scelta iniziale di Giuseppe, essere giusto, e la progressiva esplosione delle relazioni
Guardando a Giuseppe scopriamo che la sua tensione originaria fondamentate è la giustizia: «Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente» (Mt 1,19). Si tratta di un personaggio positivo che cerca la verità della vita obbedendo alla Legge di Mosè. La realtà vera di Giuseppe, però, e le sue possibilità di vita sono scoperte e costruite dalle relazioni che si trova a vivere.

La relazione con Maria sua sposa, la Vergine Madre di Dio
La relazione fondamentale è quella con Maria la ragazza che ha sposato e che ancora non ha iniziato a vivere con lui.  A causa di questa relazione con Maria, egli è costretto a uscire dalla semplice giustizia precedente, quando decide di rimandare in segreto la sposa incinta, ma non da lui.  Sempre per la relazione con Maria gli viene donato di essere il padre terreno del Figlio di Dio. Egli è il vero padre di Gesù perché questi è nato verginalmente dalla sua sposa legittima. Secondo il diritto d’Israele il bambino è suo proprio per la verginità della madre. Il bambino infatti ha solo una madre e non un padre biologico.

La relazione con Gesù
La relazione con Gesù la possiamo ripercorrere attraverso il racconto che viene sviluppato nei Vangeli. Si comincia col viaggio a Betlemme, causato dal censimento di Cesare Augusto che ha portato alla nascita del Salvatore a Betlemme, città di Davide (cf. Lc 2,1-7). Si passa poi al grato stupore suscitato dai numerosi adoratori di quel figlio, come i pastori (cf. Lc 2,8-20). E ci sono i Magi, questi sapienti pagani venuti dall’Oriente a portare al bambino oro, incenso e mirra, ossia i doni dovuti ai re e agli dei. Ma c’è la fuga in Egitto per far scampare al bambino la strage degli innocenti, in cu Giuseppe diventa il padre terreno dedico per salvare la vita a Gesù. Troviamo poi il disagio di Giuseppe che al ritorno dall’Egitto non può fermarsi in Giudea a causa del nuovo pericolo che il crudele Archelao, figlio di Erode, sarebbe di nuovo per Gesù (Mt 2,19-21). Infine la decisione di riparare a Nazaret (cf. Mt 2,22-23), il villaggio sconosciuto che causerà a Gesù il nome che porterà tutta la vita, persino nel cartiglio di condanna fatto inchiodare da Pilato sulla croce: Gesù Nazareno, il Re dei Giudei» (cf. Gv 19,19). Questo apporto di Giuseppe alla formazione di Gesù è stampato su molte delle croci che vediamo nella sigla I.N.R.I., dove N. sta per Nazareno. A Nazaret Giuseppe insegnerà a Gesù «l’umile arte del falegname», ossia darà al bambino il mestiere per vivere, che eserciterà fin oltre i trent’anni. L’ultimo episodio evangelico in cui Giuseppe è citato e nel tempio di Gerusalemme, in cui ha luogo la presa di coscienza del dodicenne Gesù, che ne ha sancito in qualche modo il distacco da lui, Giuseppe, suo padre terreno: «non sapevate che devo interessarmi delle (promesse) del Padre mio?» (cf. Lc 2,41-52). È evidente che «Padre mio» segna lo stacco da Giuseppe, che ha la gloria di essere il padre terreno del figlio di Dio, ma che anche deve fare un passo indietro.

Il riflesso di San Giuseppe nella nostra vita

  1. Noi ci costituiamo in profondità se sappiamo cogliere la realtà vera degli altri ed entrare in profonda interazione gli altri.
  2. Se ci pensiamo bene gli altri sono costruiti dal nostro meglio: noi siamo anche come gli altri ci trattano e gli altri sono anche come noi li trattiamo.
  3. Noi siamo anche ciò che gli altri ci rendono con la loro relazione. Giuseppe, che si era legato a una ragazza “qualsiasi”, si trovò a essere lo sposo della Vergine Madre di Dio.
  4. Giuseppe fu così caricato di caricato di un peso e di un onore immenso: si avviò per l’imprevista via della verginità, ma si trovò a essere il padre terreno del figlio di Dio.
  5. Da umile carpentiere dello sconosciuto villaggio di Nazaret, si trovò ad essere colui che ha insegnato a Gesù come vivere fino alla piena maturità dei trent’anni.

Quali scelte per una piena relazione con Dio e con gli altri

  • Ringraziamo sinceramente per le relazioni in cui ci troviamo annodati e che sono la nostra ricchezza nonostante le episodiche fatiche.
  • Nella meditazione cerchiamo gli spazi inattesi e il di più che ci proviene dalle nostre relazioni decisive e spesso sorprendenti.
  • Chiediamo perdono se ci troviamo un po’ meschini rispetto la ricchezza che il Signore ci ha dato negli altri: la condanna dell’autoreferenzialità sta nei doni che gli altri rappresentano come dilatazione del nostro cuore e delle nostre braccia.