Cattedrale di Carpi

Rito di ammissione tra i candidati agli ordini sacri del diaconato e del presbiterato di Francesco Roggiani e Alessandro Cavani

25 settembre 2021

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (anno B)

(Num 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48)

Nessuno detiene l’esclusiva sul nome di Gesù. Giovanni, come abbiamo sentito, pensava che solo i discepoli avessero il diritto di usarlo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. L’apostolo esprime la logica, purtroppo diffusa, della contrapposizione tra “noi” e “gli altri”. “Noi” siamo quelli che possono permettersi di agire nel nome di Gesù, perché stiamo con lui, mentre “gli altri” sono i lontani, vanno tagliati fuori. Ma Gesù non accetta questa logica: “non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me”. Invocare il suo nome è possibile a tutti, senza eccezioni; l’uso del nome di Gesù non è soggetto ai diritti d’autore. Fino ad allargare il “noi”: “chi non è contro di noi è per noi”; cioè il “noi” non è circondato da steccati, ma è un prato aperto a tutti. Con questo, Gesù non elimina la distinzione tra i suoi discepoli e “gli altri”, ma dà a tutti la possibilità di invocarlo, di fare del bene nel suo nome, anche se non si fanno suoi seguaci. E infatti aggiunge che “chiunque” darà da bere ai discepoli anche solo un bicchiere d’acqua nel suo nome, sarà ricompensato. Questo pronome indefinito, “chiunque”, detto da Gesù, è preziosissimo: significa che il bene – fosse pure un semplice bicchiere d’acqua – è trasversale, è accessibile e possibile a tutti.

Ma Gesù non si ferma a questa prima risposta: prosegue con un discorso che è tra i più duri e paradossali del Vangelo. I discepoli vogliono tagliare fuori dall’attività benefica “gli altri”? E Gesù risponde: tagliatevi invece la mano e il piede, se sono motivo di scandalo. I discepoli vogliono gettare lontano dalla loro cerchia chi non ne fa parte? E Gesù risponde: gettate invece via il vostro occhio, se è motivo di scandalo. Un taglio, una separazione, ci vuole: ma dentro di noi, non al di fuori. Sono la mano, il piede, l’occhio – le mie azioni e il mio sguardo – a dover essere amputati delle parti cattive, invece di perdere tempo nel tentativo di tagliare via “gli altri”.

A me pare che una delle cause più profonde dell’insoddisfazione e della tristezza che tante volte proviamo sia l’ansia di amputare gli altri. Quell’egocentrismo da bambino capriccioso, per cui la colpa è sempre degli altri, gli altri sono cattivi, rubano l’attenzione e gli affetti… qualche volta avvolge anche noi e le nostre comunità. È raro, e forse per questo Gesù vi insiste tanto e con parole così pesanti, che io faccia davvero autocritica, quando qualcosa non funziona. Ed è ancora più raro che io sia contento dei successi altrui, perché nel mio cuore c’è sempre un piccolo Giovanni che protesta: lui non deve fare come me, solo io ne ho il potere e il diritto. Tagliare il dito accusatore, tagliare il piede che calcia via l’altro, cavare l’occhio invidioso: sono operazioni davvero faticose, anzi, sono impossibili senza la grazia, senza l’invocazione del nome di Gesù. Eppure sono operazioni indispensabili, se non vogliamo scandalizzare i piccoli che credono in lui. Questi piccoli sono i fratelli e le sorelle di fede, che si aspettano da noi – specialmente da chi di noi ha assunto il ministero pastorale – un comportamento e uno sguardo diversi da quelli mondani; i piccoli non sono solamente i bimbi, ma tutti coloro che muovono i primi passi nella comunità cristiana e che, se vedono in noi la logica del pregiudizio, del possesso e dell’invidia, rimangono scandalizzati. In fondo ogni abuso, di qualsiasi natura, è un abuso di potere, che si traduce poi in tante forme, alcune davvero devastanti.

Cari Francesco e Alessandro, dichiarando oggi al Signore e alla Chiesa la disponibilità a camminare verso il diaconato e il presbiterato, voi mettete nello zaino della vostra vita un coltello; non vi servirà per tagliare via gli altri, per colpirli e ferirli; vi servirà per tagliare via dal vostro cuore i giudizi implacabili, i desideri di possesso e le manie di grandezza; vi servirà per purificare la mano, il piede e l’occhio; vi servirà per potare gli eccessi dell’io e del noi e aprirvi ad apprezzare il bene, da “chiunque” venga fatto. Il ministero, al quale oggi più decisamente vi disponete, non è la salita sul podio per ricevere qualche medaglia, ma è la discesa verso i piccoli, l’ascolto delle loro gioie e fatiche, la condivisione dei loro pesi e delle loro risorse. I piccoli, quelli che non salgono sul podio del mondo, perché non possono esibire ricchezza, potere, bellezza, salute, successo e prestigio, siano i vostri – i nostri – compagni di cammino. È il modo più vero di invocare e onorare il nome di Gesù.

+ Erio Castellucci