Sinodo e diocesi, intervista al cardinal Bassetti

Lo scorso 10 giugno all’interno del programma di un viaggio dedicato alle Cattedrali dell’Emilia Romagna, i Vescovi dell’Umbria, guidati dal cardinale Gualtiero Bassetti, hanno visitato l’Abazia di Nonantola prima di raggiungere il Duomo di Modena dove ad accoglierli c’era il vescovo Erio Castellucci. A margine della visita Marco Costanzini, per il settimanale Nostro Tempo, ha rivolto al cardinale Bassetti alcune domande sul cammino sinodale al quale la Chiesa italiana si sta preparando.

Eminenza, cosa significa intraprendere un cammino sinodale e cosa è necessario per costruire insieme quel «noi ecclesiale» da lei sottolineato nell’Assemblea generale della Cei?

È fondamentale avere la piena consapevolezza che noi non stiamo organizzando un evento mediatico o burocratico ma, all’opposto, stiamo iniziando un cammino comune di tutta la Chiesa italiana. Un cammino che parte dal basso e va verso l’alto, che affronta concretamente i problemi e le speranze dei credenti e che riprende le questioni più importanti sollevate dal Convegno di Firenze. A Firenze nel 2015 il Papa disse che auspicava «una Chiesa italiana non potente, ma inquieta, vicina agli abbandonati». Questo è un punto di partenza decisivo per costruire il «noi ecclesiale». Non dobbiamo essere “ossessionati” dal potere mondano, come ci ha ammonito Francesco, ma occorre essere illuminati dall’azione dello Spirito Santo e guidati dallo sguardo del Samaritano. Oggi è il tempo dei profeti! E con questa visione profetica dobbiamo discernere i segni dei tempi e rispondere alle grandi questioni poste da questo eccezionale cambiamento d’epoca: dalla trasmissione della fede all’educazione dei figli, dalla mancanza di lavoro alla costruzione di una società pacificata, dalla valorizzazione della famiglia all’aiuto dei poveri.

Il cammino sinodale della Chiesa italiana si intreccerà e dovrà armonizzarsi con quello della Chiesa universale. Papa Francesco ha recentemente monsignor Erio Castellucci, come consultore del Sinodo dei vescovi. Qual è il significato del ruolo che gli è stato affidato e quale apporto potremo dare, come Chiesa italiana, nel cammino della Chiesa universale?

Lo scopriremo lungo il cammino. Un Sinodo dei vescovi dedicato alla sinodalità è una bella occasione anche in relazione alla nostra proposta. Ci permette di non smarrire il respiro universale della Chiesa. Realizzeremo un tratto insieme aiutandoci e coinvolgendoci, certi che potremo trarre giovamento anche per il cammino della Chiesa italiana. In questo, il contributo di monsignor Castellucci sarà prezioso, perché potrà aiutarci a custodire questo aspetto importante. Ma credo che anche lui potrà trarre giovamento dalle indicazioni, dai consigli, dai suggerimenti che l’episcopato italiano non mancherà di offrire.

 Monsignor Castellucci è stato anche eletto vicepresidente della Cei, chiamato a coadiuvare la sua presidenza. Le diocesi italiane vivono esperienze pastorali diverse nelle aree del Paese? Quali sono le sfide per le diocesi del Nord che il nostro vescovo si troverà ad affrontare?

Sono molto grato a monsignor Castellucci per la disponibilità ad essere parte della presidenza della Cei. La sua elezione è segno della stima dell’episcopato nei suoi confronti. Con gli altri due vicepresidenti e il Segretario generale della Conferenza episcopale lavoreranno insieme, aiutandosi e sostenendosi reciprocamente, perché il Consiglio episcopale permanente e l’Assemblea generale dei vescovi possano essere autentici luoghi di comunione e di discernimento. In questo senso le diversità delle diocesi del nord Italia non rappresentano mai un limite o una difficoltà: al contrario, sono una ricchezza e una opportunità. In questo momento storico, segnato dalla pandemia, credo che le sfide siano le stesse in tutte le Chiese locali dell’Italia. Certamente con sfumature o accentuazioni diverse, ma la pandemia ci ha posto su uno stesso piano. Ma oltre alle sfide, immagino che potremo condividere quei germogli di novità che sono presenti ovunque.

L’arcidiocesi di Modena-Nonantola è stata unita «in persona episcopi» con la diocesi di Carpi. Anche questo rientra nel cammino sinodale della nostra Chiesa, «partendo dal basso». Quale spirito deve guidare il percorso di unione?

Le diocesi italiane sono ricchissime di tradizione, storia, persone. Sono il segno concreto di quella santità di popolo che in una catena di fiducia è stata determinante per passare la fede di generazione in generazione. Credo pertanto che lo spirito che deve guidare questo percorso di unione tra l’arcidiocesi di Modena-Nonantola e la diocesi di Carpi sia la piena valorizzazione della comunità ecclesiale, senza scadere nei particolarismi, con l’obiettivo primario di voler generare una pastorale capace di prendersi cura autenticamente di tutto il popolo di Dio. Mai come oggi, in questo mondo così lacerato, è fondamentale valorizzare l’unità della Chiesa, assaporare la bellezza del Vangelo e riscoprire i fondamenti dell’umano. Sarebbe dunque un errore leggere questi passaggi storici semplicemente come un puro esercizio organizzativo, amministrativo o di convenienza. Quello che guida l’azione della Chiesa lungo il sentiero della storia è solo la luce di Cristo e non certo un progetto di ingegneria sociale. E ancora oggi, in questo percorso di unione, noi siamo chiamati a seguire quella luce e null’altro.

Da Nostro Tempo