Editoriale del n. 5 del 10 febbraio 2013



Un Paese è stanco di populismi e reticenze


Con sano realismo

di Francesco Bonini

La campagna elettorale è ormai nel vivo e sempre più assume i caratteri di una grande rappresentazione. Ne presenta i molteplici e anche contraddittori registri: si tratta, infatti, ormai di pescare in quel bacino d’indecisi, delusi e adirati, per i quali sono state anche coniate offerte politiche ad hoc.


In questa grande rappresentazione, paradossalmente, tutto (sembra) politica, si celebra l’autonomia della politica. Gli italiani, che sono spettatori partecipi, ma anche smaliziati, lo sanno bene. Si godono – alla televisione, ma anche, in certi casi, nelle piazze – le rappresentazioni, ma non per questo dimenticano i grandi problemi che quotidianamente viviamo. ‘Il Paese sano è stanco di populismi e reticenze di qualunque provenienza e comunque vestiti’, aveva detto con franchezza il cardinale Bagnasco aprendo i lavori del Consiglio permanente, il cui comunicato finale ha rilanciato appunto i grandi temi, a partire dalla famiglia.

Ecco, allora, l’esercizio cui siamo chiamati, attraverso questa campagna elettorale, ma soprattutto verso la transizione, cui i risultati delle elezioni, probabilmente, apriranno nuovamente: riportare, al di là delle rappresentazioni, alla concretezza della realtà, ma fatta di persone, di passioni, di attese.
‘La politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi’, aveva ripetuto papa Benedetto XVI in un impegnato discorso-quadro al Pontificio Consiglio dei laici: sono quattro parole chiave e un aggettivo che ci possono molto aiutare.

È un’arte, complessa, proprio perché comporta la ricerca di un equilibrio, tra forze molteplici. Infine, evoca interessi (ovviamente non quelli personali cui purtroppo siamo abituati, ma quelli legati al bene comune) e ideali e la loro chiara dichiarazione. Questa definizione, da un lato, detta criteri non moralistici, ma realistici, per la scelta e per l’impegno. Dall’altro, stimola all’innovazione e a disegnare un possibile approdo virtuoso della (ennesima) transizione che stiamo vivendo. Per essere vantaggioso alla democrazia, dunque in concreto a tutti noi, l’approdo della crisi dovrà essere a un sano realismo, inclusivo e innovativo.

Certo, c’è una consolidata scuola di realismo politico che facilmente degenera in cinismo, con tutto il seguito di malefatte che ben conosciamo. Come c’è pure un idealismo astratto. La via della concretezza e della realtà non è però quella di un arido bilanciamento. È invece la ‘sintesi tra ideali e interessi’, che siano gli uni e gli altri chiaramente definiti. In tal modo può essere capace di parlare non solo alla testa, ma anche al cuore e alla pancia della gente, come pure è necessario – e lo ripetono sondaggisti e strateghi della campagna elettorale. In questo modo diventa non ‘politica assoluta’ e impotente, ma efficace funzione e, senza retorica, un ‘ambito molto importante di esercizio della carità’.


Che questo sia estremamente difficile lo dimostra la nostra situazione italiana ed europea, questo lungo e difficile passaggio di crisi, che continuiamo a definire transizione, ma che non può essere un alibi per nessuno.