di Brunetta Salvarani
In occasione del tradizionale appuntamento della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che l’anno scorso ha compiuto il secolo di vita, dal 18 al 25 gennaio 2009 i cristiani in tutto il mondo pregheranno meditando sul tema “Essere riuniti nella tua mano” (Ez 37, 17). Un versetto scelto con cura: il profeta Ezechiele, il cui nome significa “Dio mi ha reso forte”, fu chiamato a infondere speranza al suo popolo durante un periodo di grande disperazione religiosa e politica che era seguito alla caduta e all’occupazione di Israele e all’esilio di tanti connazionali in Babilonia. I cristiani della Corea, cui è toccata la decisione di quest’anno, spiegano che essa deriva dal fatto che anch’essi si trovano oggi nella situazione da cui era partito Israele prima dell’esperienza dell’esilio vissuta dalla generazione di Ezechiele. Anche la Corea, come Israele di allora, è un paese diviso in due stati: quello del nord e quello del sud, che malgrado la divisione e la guerra di oltre cinquant’anni fa, si sente un’unica nazione. Questa è, del resto, pure la realtà della Chiesa di Cristo di oggi, divisa eppure piena di speranza di “formare un solo bastone nella mano di Dio”. In tale direzione i cristiani hanno una sola arma: la preghiera, che rivolgono a Dio da ogni parte della terra e che esige da loro una conversione all’amore e alla giustizia che trovano insieme la loro realizzazione sulla croce di Cristo. Come ogni anno, si tratta di un’ottima occasione per fare il punto sull’ecumenismo, questo inatteso dono di Dio nel Novecento che nel complesso sta attraversando un periodo delicato. E’ invalso l’uso di ricorrere alle immagini meteorologiche, per cui spesso si dice dell’attuale “inverno ecumenico”, o perlomeno di un autunno quanto mai piovoso, seguito alla primavera di speranze che ha segnato il Vaticano II. D’altra parte, per citare le franche parole del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, “un ecumenismo di coccole o di facciata, in cui si desidera solamente essere gentili gli uni con gli altri, non aiuta a compiere progressi; solamente il dialogo nella verità e nella chiarezza può sostenerci nell’andare avanti”. Le pronunciò a Sibiu, nella terza Assemblea ecumenica europea (4-9 settembre 2007), a proposito delle reazioni preoccupate di altre chiese cristiane per il documento della Congregazione per la dottrina della fede Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, uscito a luglio dello stesso anno. Ma egli affermò perentoriamente anche che all’ecumenismo, in realtà, non c’è un’alternativa responsabile, dato che ogni altra posizione contraddice la nostra responsabilità di fronte a Dio e al mondo. Se, come è stato notato, a Sibiu si è di fatto chiuso un ciclo, non è stata dunque posta la parola fine sul cammino ecumenico. Che deve proseguire, nonostante le evidenti difficoltà, appunto, non più giocandosi esclusivamente (o quasi) sulle buone maniere reciproche, bensì nella chiave della verità e della chiarezza.