Sala Duomo di Carpi
Introduzione del Vescovo Francesco Cavina all’Esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate” di Papa Francesco
13 giugno 2018
S.E. Monsignor Francesco Cavina
La Esortazione Apostolica di papa Francesco “Gaudete et exultate”, composta di cinque capitoli, tratta della santità personale, che è la ragione ed il fine della nostra esistenza. Siamo chiamati a divenire santi perché “santo è il Signore nostro Dio”. Questa vocazione, come insegna il Concilio Vaticano Il, è la vocazione che accomuna tutti i battezzati, ha, quindi, un carattere universale.
“Il mio umile obiettivo – si legge nell’introduzione dell’Esortazione – è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità”.
Una vita “mediocre, annacquata, inconsistente” e superficiale, una vita morale ridotta al minimo per un cristiano è un controsenso.
Il Signore ci chiama a vivere la “vocazione alla santità” nella trama delle occupazioni di ogni giorno, nel contesto feriale in cui si svolge normalmente la nostra esistenza. Per ogni battezzato che voglia seguire fedelmente Cristo, la fabbrica, l’ufficio, la biblioteca, il laboratorio, l’officina, la scuola, le pareti domestiche, il divertimento, gli amici possono trasformarsi in altrettanti luoghi di incontro e di testimonianza del Signore Gesù, che ha scelto di vivere per 30 anni nel nascondimento. E anche quel periodo era già parte integrante della sua missione di salvezza.
Alla luce della testimonianza della vita di Cristo la santità non solo è adattabile alle attuali condizioni sociali e culturali, ma è addirittura indissociabile con lo stato di vita reale e concreta che ogni persona è chiamata a conseguire, nei limiti imposti e nella prospettiva aperta dai propri doveri specifici.
Scrive il Pontefice: “Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali”.
Se non si tende alla santità personale, si smarrisce anche il senso stesso della nostra vita e del nostro essere in questo mondo. Un santo contemporaneo fa questa importante precisazione: “Siate uomini e donne di mondo, ma non siate uomini o donne mondani” (S. Josè Maria Escrivà, Cammino, 939). Cioè se vogliamo che le nostre attività quotidiane diventino un prezioso mezzo di unione con Cristo è necessario vivere in grazia di Dio, pregare, accostarsi frequentemente ai sacramenti.
Il Papa, rifacendosi alla grande tradizioni cristiana, individua due ostacoli che si oppongono alla santità, cioè al cammino della nostra piena umanizzazione.
La prima tentazione è lo gnosticismo. In che cosa consiste? É la pretesa di fondare la propria vita non sulla fede, quindi non sulla Parola ricevuta dall’amore di Dio, ma sulla sola conoscenza umana la quale porta ad una fede “fai da te”, che si esprime con quelle parole che tante volte utilizziamo anche noi: “Io penso che”, “Per me, credere significa”, “Per me Gesù è…”. Manca, in questa visione della fede, qualsiasi riferimento alla comunità cristiana, alla Chiesa. Il Papa osserva che lo gnosticismo produce superbia, egocentrismo e quindi perdita del valore dell’obbedienza a Dio che si rivela.
La seconda tentazione è il pelagianesimo. In questo caso non è più l’intelletto ma la volontà ad ergersi a padrona di tutto. Di qui nasce l’iperattivismo che porta a ritenere la santità un accumulo di iniziative, di progetti. In altre parole si crede che la salvezza dipenda dall’“io voglio”, dalle mie sole capacità umane. Il cammino di fede, invece, è un riconoscere che il nostro destino non è riconducibile a una dimensione puramente terrena e individualista. Nessuno si fa da solo. Nessuno si santifica per natura. Dio santifica quando la mia libertà personale decide di fare entrare Cristo nella vita interiore ed esteriore.
Il papa non manca di sottolineare, in ultimo, un altro grande male: l’ideologismo il quale da una parte propugna un Cristianesimo svuotato del Mistero, della grazia, della relazione personale con Gesù per ridurre la Chiesa ad una sorta di ONG e dall’altra porta a diffidare dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. Il papa nel documento non fa sconti e non crea alibi di alcuna sorta. Essere santi non si risolve in un impegno sociale o filantropico, è una vocazione è una chiamata della Grazia divina che cambia radicalmente l’azione del credente dal profondo del suo essere.
Ma in concreto: Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano? La risposta del Papa è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle beatitudini (63), nelle quali Gesù ci lascia la sua autobiografia, che noi siamo chiamati a rendere presente nella quotidianità della nostra fede. La parola “felice” o “beato” diventa sinonimo di “santo”, perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine.
La santità è innanzitutto un dono, che segna in modo indelebile tutti i battezzati, in ogni aspetto della loro vita. La santità, quindi, prima di essere il frutto di una decisione del singolo o della coppia è un dono che il Signore, nella Chiesa, ci consegna per mezzo del battesimo.
Ma è un dono che si traduce in un “compito”, in un “impegno”: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (ITs. 4.3). Nel quinto capitolo, intitolato: “Combattimento, vigilanza e discernimento”, si sottolinea come la vita cristiana sia “un combattimento permanente”, in cui si richiede “forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella – afferma il Papa -, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita”.
Per capire questa affermazione bisogna guardare i santi. Essi non sono nati santi, lo sono diventati. É questa la loro grandezza. Ed è un incoraggiamento per noi, che così facilmente cadiamo nel peccato e siamo tanto lenti a rialzarci, constatare che anche i santi hanno conosciuto le nostre stesse difficoltà. La loro vita può illuminare oggi chi vuole vivere la propria vita con Cristo.
I Santi non sono figure eccezionali o degli eroi leggendari, ma persone che – poiché si sono resi docili all’azione dello Spirito Santo e si sono abbandonati alla sua forza trasformante – sono diventati nuovi nei pensieri, nuovi nella volontà, nuovi nei desideri e nuovi nei sentimenti. In particolare, chi è ripieno dello Spirito sperimenta una creatività inattesa e una forza nuova. Una forza quanto mai necessaria oggi, soprattutto per non tradire il messaggio di Cristo o ridurlo, come si dice, ad una forma di buonismo, a buoni sentimenti, a parole che vanno bene per qualsiasi situazione.
Soprattutto la vita dei santi è tutto un atto di amore. Hanno compiute tante cose ma tutto quello che hanno fatto si riassume nel duplice comandamento dell’amore.
La vita spirituale del cristiano è un cammino che è molto differente dal cammino dell’uomo sul piano naturale. Il cammino dell’uomo sul piano naturale si qualifica come una lenta conquista della propria indipendenza ed autonomia. Nella vita spirituale è il contrario. Nasciamo che siamo vecchi a causa del peccato ed il cammino spirituale è un cammino a ritroso, che va, cioè, dalla vecchiaia alla giovinezza, all’infanzia: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18.3). Si tratta di un’esperienza meravigliosa! Invece di invecchiare si ringiovanisce. Si nasce vecchi e si muore bambini. Fino all’abbandono! Proprio come un bambino in braccio a sua madre. É questo il cammino dell’anima. Anche se abbiamo i capelli bianchi bisogna ritornare bambini, tra le braccia di Dio.
In definitiva il cammino della vita spirituale consiste in una rinuncia progressiva alla propria indipendenza per aderire alla volontà di colui che amiamo: Cristo. Quanto più cresce l’amore per il Signore tanto più si è disposti a rinunciare con gioia alle proprie vedute, ai propri giudizi, ai propri progetti, alle proprie vie per seguire le vie attraverso le quali il Signore ci conduce.
Attraverso l’Esortazione apostolica il Pontefice ha inteso richiamarci alla grandezza, alla bellezza dell’ideale a cui Dio ci chiama: essere santi per divenire rivelazione della presenza di Cristo in mezzo agli uomini. “Spero che queste pagine – si legge nella conclusione – siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità. Chiediamo che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi per la maggior gloria di Dio e incoraggiamoci a vicenda in questo. Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere”.
Davanti alle altezze alle quali il Signore ci chiama può nascere in noi sgomento e smarrimento perché ci sentiamo estremamente poveri ed infinitamente lontani. Eppure la nostra povertà e miseria non deve diventare un pretesto per diminuire le esigenze di Dio ed accontentarci di essere delle persone buone. Il Signore non ci chiede una qualunque bontà ci chiede la santità che è trasparenza di Dio, che è liberazione dall’egoismo, che è rivestimento di Cristo, testimonianza della presenza di lui in mezzo agli uomini.
La nostra miseria dunque non deve diventare il pretesto per diminuire le esigenze di Dio. Se veramente noi siamo fi gli di Dio noi possiamo confidare che anche dalla nostra miseria Dio saprà trarre prodigi di santità e di grazia.
+ Francesco Cavina