Terzo appuntamento del percorso interdiocesano “Credi tu questo?”

Lunedì 13 gennaio

 “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”
Il ringraziamento
Gv 11,38-44.

Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

Traccia della Lectio.

Oggi “grazie” è una delle parole meno pronunciate e purtroppo meno insegnate anche ai bambini. Siamo nella civiltà dei diritti – ed è un grande passo in avanti – ma rischiamo di applicare lo schema dei diritti anche a Dio e dimenticarci che siamo figli. Quando un bambino riceve un regalo, la prima volta magari ringrazia; la seconda volta se lo aspetta; la terza volta lo ritiene un diritto, se non c’è un adulto che gli suggerisca di dire “grazie”. Ora, Dio ci fa continuamente dei regali e il rischio è di considerarli a poco a poco dei diritti, limitandoci a strillare e lamentarci se qualcosa che attendiamo non arriva. Se impariamo a dire grazie al Signore anche per quello che ci sembra dovuto, siamo più gioiosi, perché ci alleniamo ad apprezzare tutto quello che già abbiamo prima di lamentarci per quello che ci manca. La preghiera di ringraziamento è essenziale per inquadrare bene anche la preghiera di richiesta. Anzi, sembra quasi che Gesù ci suggerisca di ringraziare ancora prima di essere esauditi e a prescindere dalla risposta di Dio.

“Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto”. Gesù non ringrazia dopo essere stato esaudito, ma prima, come se già il Padre avesse risuscitato Lazzaro. Come fa ad essere così sicuro? Perché azzarda un’affermazione del genere, con il rischio poi – se il Padre non avesse richiamato Lazzaro alla vita – di fare una brutta figura? Certo, la risposta più semplice è che Gesù, essendo il Figlio di Dio, conosce bene la volontà del Padre e non può sbagliare. Però c’è un’altra occasione nella quale Gesù prega il Padre per ottenere una grazia – questa volta riguarda la sua incolumità di fronte al pericolo di morte imminente – e questa volta non viene esaudito; quando, cioè, nell’Orto degli Ulivi, supplica Dio con queste parole: “Abbà, Padre (…), allontana da me questo calice!” (Mc 14,36). Il giorno dopo però quel calice lo dovrà bere fino in fondo. Se dunque Gesù avesse saputo prima anche in questo caso le decisioni del Padre, una preghiera così accorata sarebbe stata inutile.

Sono decine, nella Bibbia, gli esempi di ringraziamento a Dio. Uno per tutti, è il Salmo 138, di cui ascoltiamo alcuni versetti:

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore;
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Rendo grazie al tuo nome
per la tua fedeltà e la tua misericordia:
hai reso la tua promessa più grande di ogni fama.
Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Questa preghiera, come tutte le altre preghiere di ringraziamento nella Bibbia, è rivolta a Dio dopo aver ricevuto ciò che era stato chiesto; e anche noi solitamente diciamo grazie quando abbiamo ricevuto un beneficio e non prima.

Come mai allora Gesù mette prima il ringraziamento dell’esaudimento, forzando la logica della preghiera antica? Vale la pena di approfondire questo punto. Perché sono tenuto a ringraziare prima ancora di essere esaudito? Gesù risponde con sicurezza: perché il Padre esaudisce sempre, e dunque devi già ringraziarlo prima, nel momento stesso in cui chiedi. È una bella provocazione, che sembra fare a pugni con la realtà. Ma andiamo con ordine.

È facile da dimostrare come Gesù nel Vangelo esprima sicurezza totale nell’esaudimento della preghiera.

Mt 7,7-11: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che é nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!”

Mt 21,22: “Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete”.

Mc 11,24-25: “Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati”.

Mt 18,19-20: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Lc 18,1-8: concludendo la parabola della vedova importuna: “E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare?”.

Gv 14, 13-14: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualcosa nel mio nome io la farò”.

Gv 15, 7: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”.

Gv 16, 23-24: “Se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena”.

Avesse almeno espresso qualche sfumatura, sarebbe stato più realistico. Non so: “chiedete e qualche volta vi sarà dato” … “qualunque cosa chiederete nel mio nome, se posso, la farò”… Invece è proprio granitico: quando preghiamo, possiamo già dire grazie perché il Signore ci esaudirà.

Eppure nella realtà non funziona sempre. Ciascuno di noi ha sperimentato preghiere non esaudite, nelle quali il ringraziamento previo si sarebbe dimostrato illusorio. Chi non ha pregato per la guarigione di una persona cara, riscontrandone poi il peggioramento e la morte? Chi non ha chiesto qualche grazia, senza vedersela accordata? Un ragazzo delle scuole medie della mia parrocchia passava ogni tanto ad accendere una candela in Chiesa, prima di andare a scuola, per chiedere un buon voto, con grande fiducia nell’esaudimento. Piano piano ha smesso, perché non vedeva i risultati: e non sono sicuro che abbia finalmente cominciato a studiare.

Ci deve essere un motivo perché Gesù, nonostante la realtà di preghiere non esaudite – che anche lui sperimenterà sulla croce, come ho accennato – si dimostri così sicuro. Guardiamo meglio. Le sue affermazioni suppongono alcune condizioni, senza le quali la preghiera di richiesta diventerebbe un contratto freddo, un automatismo pericoloso, uno scambio commerciale con Dio, anziché un rapporto filiale con il Padre. Troviamo nelle parole di Gesù quattro grandi condizioni.

Prima condizione: chiedere cose buone. “se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli” …(Mt 7,10-11). La lettera di Giacomo riprende questa condizione fondamentale con parole molto forti: “Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare, cioè, le vostre passioni” (4,2-3). Dunque, il Padre non esaudisce richieste sbagliate, che nascono da un cuore malevolo. Se ho intenzioni impure, posso ringraziare prima quanto voglio, ma non verrò esaudito.

Seconda condizione: chiedere con fede. “quello che chiederete con fede nella preghiera lo otterrete” (Mt 21,22); “quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc 11,24). Del resto, Gesù provoca spesso i suoi discepoli ad avere più fede, riscontrandone spesso poca, per mostrare come la fede potrebbe spostare anche le montagne: “se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20).

Terza condizione: chiedere dentro un’esperienza di comunione. “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Mt 18,19). Questa condizione deve essere rara, se Gesù fissa il minimo sindacale perché il Padre esaudisca la preghiera nell’accordo tra “due persone” … si vede che è proprio difficile andare d’accordo, anche nel pregare! Lo stesso plurale usato nel “Padre nostro” (di cui parleremo la prossima volta) esprime la necessaria condizione comunitaria perché la preghiera venga esaudita. Di questa condizione fa parte anche il perdono previo alla preghiera, presente pure nel “Padre nostro”: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,25).

Quarta condizione: chiedere con costanza. “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”: così è introdotta la scena della vedova importuna (Lc 18,1). A questo invito farà eco San Paolo: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Tess 5,16-18). E Giovanni, con il suo linguaggio teologico profondo, mette in relazione l’esaudimento della preghiera con due atteggiamenti che indicano il radicamento stabile in Cristo: occorre chiedere al Padre “nel nome” del Figlio (cf. Gv 14,13; 16,23); ed è necessario “rimanere” nel Figlio, lasciando dimorare in noi le sue parole (cf. Gv 15,7).

Se queste sono le condizioni, esplicitate nei testi, comprendiamo perché non è sempre automatico l’esaudimento. Quante volte chiediamo in contesti di divisione o con intenzioni non pure, oppure senza troppa fede o magari covando nel cuore risentimenti che non riusciamo a perdonare? Se la preghiera, come abbiamo detto negli scorsi incontri, è un rapporto da figli a Padre, e non da clienti a commercianti o da schiavi a padroni, allora l’esaudimento è un gesto familiare, che mette in gioco la libertà reciproca dei figli e del Padre e la fiducia nella capacità del Padre di leggere gli avvenimenti più in profondità, con lungimiranza, senza dover pretendere da lui che si appiattisca sulle nostre richieste. Dio non è un distributore automatico di grazie – se ci esaudisse sempre e comunque come noi vogliamo, a prescindere dalla purezza delle nostre intenzioni, dalla nostra vita di fede e di comunione, dalla nostra costanza nel domandare, sarebbe un disastro. Perderemmo l’essenziale nel rapporto con lui, che è la nostra figliolanza e la sua paternità. Dal distributore delle bibite o dal Bancomat posso pretendere un rapporto commerciale, un esaudimento immediato alla sola condizione di inserire l’importo giusto e prelevare la merce richiesta; non chiedo certo una relazione affettiva, filiale, profonda. Se tratto Dio non da Padre, ma da distributore e da Bancomat, perdo tutto. Lui vuole essere Padre e fa di tutto perché noi ci sappiamo figli.

Eliminata dunque l’illusione dell’automatismo, che sarebbe fatale, restano però situazioni nelle quali sussistono le condizioni buone per pregare, chi si rivolge al Padre lo fa con sentimenti di gratitudine e di umile richiesta, eppure l’esaudimento atteso non arriva. Noi non sappiamo quando questo accada, tranne in un caso: quello di Gesù. Torniamo alla sua preghiera nell’Orto degli Ulivi, la vigilia della morte. Qui siamo in presenza di una preghiera ovviamente fatta con le dovute disposizioni, ma che non è esaudita: “Abbà, Padre (…), allontana da me questo calice” (Mc 14,36). Se poche ore dopo sarà inchiodato sulla croce, significa che il Padre ha respinto la sua preghiera. Eppure, la lettera agli Ebrei, commentando proprio questa preghiera, afferma tranquillamente che Gesù, dopo aver pregato e supplicato con forti grida e lacrime per essere liberato dalla morte, “per il suo pieno abbandono a lui (= al Padre); venne esaudito” (5,7). Venne esaudito? A noi sembra proprio di no: accadde esattamente ciò da cui Gesù aveva chiesto di essere liberato.

Ma la lettera agli Ebrei legge più in profondità: Gesù fu esaudito in modo inaspettato e pieno, con la risurrezione: questa è la vera e permanente liberazione dalla morte. Il Padre ha esaudito Gesù, nell’apparente rifiuto della sua richiesta, ben al di là di ciò che Gesù poteva attendersi. Se, anzi, lo avesse esaudito nei tempi e nei modi richiesti dal Figlio, non sarebbe passato attraverso la croce, necessaria – nella nostra situazione storica di persone ferite e crocifisse – per condurci alla gloria. Questa è la logica intrinseca di ogni preghiera cristiana di richiesta: logica della Pasqua, che richiede una fiducia filiale nel Padre. Perciò alla prima domanda va sempre aggiunta, magari a denti stretti, la seconda domanda di Gesù al Padre: “però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36), perché sei tu il Padre, e conosci quando e come è meglio per me esaudire la mia richiesta.

 

Questo è lo stile della preghiera di richiesta ed è il motivo per cui va sempre introdotta con il ringraziamento: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato!”. Noi cristiani preghiamo nella fiducia che Dio, come un padre e come un padre, accoglie sempre nel suo cuore una richiesta giusta, ma che a lui va lasciato di scegliere i modi e i tempi per realizzarla, perché è lui che conosce il meglio. È quello che dovrebbe avvenire in una famiglia: i figli domandano, ma sono poi i genitori a valutare se esaudire come da loro richiesto, oppure tenere presente la loro domanda e poi esaudirla nei modi e nei tempi più opportuni per i figli. E se la richiesta viene incorniciata nel ringraziamento, certamente viene posta nel clima giusto per riconoscere la paternità di Dio ed affidarsi a Lui.

Certo, nella pratica è difficile vivere la preghiera di domanda secondo la logica della Pasqua. Dobbiamo onestamente ribadire che tante volte la nostra preghiera più che una richiesta da figli è una richiesta da clienti. Una bella lista di cose da ottenere, con tanto di pagamento anticipato (una candela, una rinuncia, un proposito), e poi la pretesa che il Signore distribuisca la grazia commissionata. Ma Dio non accetta questo rapporto clientelare, che è del tutto estraneo al clima della famiglia e risponde piuttosto al clima commerciale della religiosità naturale; il Padre vuole, invece, che entriamo nello spirito filiale di Gesù, dove la richiesta va inoltrata con fiducia completa nella volontà del Padre, ringraziandolo ancora prima di avere ottenuto da lui qualsiasi cosa.

Qualche volta, è vero, il Signore esaudisce proprio nei tempi e nei modi richiesti: segno che, come avviene spesso nei santi, non sussiste più il pericolo clientelare. Ma questo è un livello a cui non tutti arrivano. Qualche volta penso che, se il Signore desse a me, come a Santa Scolastica, la facoltà di procurare dei temporali quando voglio, ne abuserei e finirei per guadagnarci sopra o per praticare piccole vendette; oppure sono certo che se mi concedesse l’ubiquità come a padre Pio, ne approfitterei un po’ troppo e, potendo essere contemporaneamente in più luoghi, moltiplicherei i danni pastorali oltre a quelli che già faccio. E se sapessi risuscitare i polli, come faceva San Francesco, penso che finirei per guadagnarci a buon mercato, mettendo su un agriturismo senza troppa spesa. Il Signore, insomma, sa chi sono coloro che, avendo raggiunto un maturo senso filiale, possono essere esauditi letteralmente senza strumentalizzarlo. Ma non è questo – l’esaudimento immediato – il livello chiesto a tutti: è piuttosto il livello dei figli, che si affidano al Padre sicuri che terrà nel cuore le richieste buone… e che per questo possono già dire con Gesù, prima ancora di essere esauditi, “Padre, ti rendo grazie, perché mi hai ascoltato!”.