Da Agensir Agenzia d’informazione 26 maggio 2020 –>
Oltre 91mila i minorenni vittime di maltrattamento – trascuratezza, violenza subita o assistita – in carico ai servizi sociali, quasi 27 mila quelli privi di cure familiari secondo i dati diffusi da Sos Villaggi dei bambini. E ora, in tempi di coronavirus, è stato segnalato un aumento di violenza domestica contro le donne – davanti agli occhi dei figli piccoli – a causa della reclusione forzata. Che cosa succede nella mente di questi bimbi e come si può aiutarli? Parla la neuropsichiatra che all’ospedale Bambino Gesù di Roma si occupa di abuso e maltrattamento all’infanzia, e di violenza familiare
In Italia, i bambini e ragazzi privi di cure familiari sono quasi 27mila: oltre 14mila in affidamento, 12.600 nei servizi residenziali per minorenni. Tra questi, la trascuratezza materiale e/o educativo-affettiva è causa dell’allontanamento da casa nel 47% dei casi, seguita dalla violenza assistita dentro le mura domestiche (19%). I minorenni in carico ai servizi sociali perché vittime di maltrattamento sono più di 91.200. Questi i dati diffusi di recente da Sos Villaggi dei bambini , ma il lockdown causato dal Coronavirus , con la reclusione forzata in casa, spesso in pochi metri quadrati, di intere famiglie, ha esasperato le tensioni innescando ulteriore aggressività e violenza, in particolare contro donne e bambini. Paola De Rose, neuropsichiatra all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, si occupa di minori maltrattati a vario titolo. “Vediamo vittime di violenza domestica: fisica, verbale e psicologica ai danni delle mamme e spesso anche dei loro bambini: spettatori di abusi o vittime loro stessi”, racconta al Sir. Secondo l’esperta, al di là dell’emergenza Covid-19 in corso che ha acuito la drammaticità del fenomeno, i dati disponibili sono sottostimati perché “in Italia non viene purtroppo attuato un monitoraggio sistematico da parte di organi istituzionali. Per questo – dice – stiamo cercando di collegarci tra ospedali, almeno per segnalare i casi più gravi e poter avere un registro, ma non è facile avere numeri certi”.
Perché?
Molti atti di violenza non vengono alla luce perché le mamme tendono a coprire le situazioni familiari. Si tratta spesso di donne sotto ricatto, vittime di abusi domestici.
I responsabili sono solo e sempre figure maschili?
No. In minima parte anche le mamme, ma più che di maltrattamenti si tratta di trascuratezza, di negligenza nei confronti del bambino e dei suoi bisogni, mancanza di protezione e cure. Anche questa una forma di abuso. In alcuni casi questi bambini vengono messi in case famiglia con le mamme, ma talvolta esse se ne vanno e li abbandonano. Noi seguiamo anche vittime di suicidio materno, gesto con fortissimo impatto sullo sviluppo fisico, cognitivo e comportamentale di un figlio, diverso in ogni età. Secondo lo stadio di sviluppo del cervello le reazioni e le cicatrici cambiano.
Che cosa accade nei più piccoli?
Un bimbo in età prescolare manifesta un disturbo della regolazione emozionale perché gli manca il “contenitore” di questa regolazione costituito dal genitore che non c’è o non assolve questo ruolo. Spesso le mamme vittime di violenze sono le prime a non avere una buona regolazione emozionale. Per questo ci troviamo di fronte bambini iperattivi, instabili, difficili da gestire. Fino a 5/6 anni prevalgono i sintomi comportamentali.
E poi?
In età scolare maturano le funzioni cognitive e i bambini cominciano a ragionare e a dare dei significati. Alla disregolazione emotiva si aggiungono modelli diseducativi-disadattivi su come costruire le relazioni; così iniziano a svilupparsi disturbi psicopatologici anzitutto internalizzati: ansia e disturbo dell’umore, vergogna e senso di colpa legati all’immagine di sé.
Perché vergogna e senso di colpa per situazioni di cui non sono responsabili?
Il cervello di un bambino non può concepire il fatto che il padre lo picchi o che la madre si uccida, e cercando un motivo tende ad attribuirlo a se stesso:
“Sono cattivo, me lo merito, c’è in me qualcosa che non va. Papà e mamma hanno ragione, è colpa mia”.
In questo modo il figlio si costruisce un’immagine di sé inadeguata.
E arriviamo allo tsunami dell’adolescenza…
A quest’età possiamo assistere a patologie nelle relazioni interpersonali, con gli amici e nei rapporti affettivi, fino a diventare disturbi di personalità, la forma più frequente che consiste in un malfunzionamento della capacità di adattarsi alle situazioni esterne e all’immagine di sé. Si tratta di ragazzi con un’immagine di sé molto labile, che possono avere grosse difficoltà a mantenere relazioni amicali, tendenti alla svalutazione dell’altro e con sintomi paranoidi. Ma non è detto vada sempre così:nel corso della vita ci possono essere anche incontri positivi in grado di supplire alle figure mancanti, e possono intervenire risorse e capacità cognitive di elaborazione capaci di favorire la regolazione della personalità.
In che cosa consiste il vostro intervento?
Occorre anzitutto intercettare i casi, anche quelli più nascosti. Non tutti i genitori ci raccontano ciò che succede, le mamme spesso hanno paura e non parlano, ma un bravo pediatra, l’insegnante, lo psicologo della scuola devono fare attenzione a segnali comportamentali che possono essere campanelli d’allarme da non sottovalutare.Per questo noi teniamo corsi di formazione per pediatri, insegnanti e psicologi scolastici. Una volta arrivata la segnalazione, inizia il percorso di sicurezza per il bambino e la mamma. Molti vengono trasferiti nei centri antiviolenza perché la prima cosa è metterli in sicurezza nelle case rifugio. Il secondo passo è lavorare sulla regolazione emozionale: sulla mamma, sui figli, e sulla relazione mamma-figlio.
Si tratta di ricostruire, di ricucire.
Ci si riesce?
Sì, se c’è un bel lavoro in rete – strutture che mettono in sicurezza, una scuola che aiuta – e laddove non c’è un disturbo di tipo patologico nella mamma, perché disturbi dell’umore e della personalità nella mamma disturbano il percorso. L’esito positivo è più frequente di fronte ad un buon livello cognitivo del bambino e quando queste situazioni vengono intercettate tempestivamente. Troppe donne vivono nella paura di denunciare, subiscono abusi per anni e decidono di parlare solo quando la violenza minaccia i loro bambini. Allora corrono ai ripari, anche se poi assistiamo, come racconta la cronaca, al femminicidio di donne che hanno sporto anche 10-12 denunce alle quali non è però stato dato seguito.
Le donne denunciano se si sentono protette dallo Stato…
Certo; in molti casi è questo è l’anello mancante che le trattiene. Occorre prevenire e contrastare la violenza sulle donne e sui minori – violenza assistita o subita – incentivando campagne informative sull’importanza di denunciare subito, ma al tempo stesso è urgente rafforzare la rete dei centri di primo soccorso e dei centri antiviolenza. Bisogna mettere in piedi una sicurezza vera anche sbloccando rapidamente i fondi per i centri antiviolenza.E infine – insisto – intervenire precocemente sulla disregolazione emozionale dei bambini maltrattati o trascurati. Chi ha subito violenza rischia di diventare un adulto e un genitore maltrattante, autore di violenza verso gli altri all’interno delle relazioni affettive e familiari. Per questo, lavorare su un bambino significa fare prevenzione e lavorare anche sulla sua futura famiglia e sui suoi figli.