«L’omicidio di Caino, il diluvio: alla fine “Dio si pente di aver risposto alla violenza con la violenza?”»
Il Signore dà all’umanità una nuova opportunità
Prosegue il ciclo di catechesi di preparazione verso il Natale sul tema “La violenza nelle sculture della facciata della Cattedrale”, introdotto lo scorso mercoledì 3 dicembre da monsignor Carlo Bertacchini. Pubblichiamo il testo integrale della catechesi tenutasi e presieduta dall’arcivescovo Erio Castellucci, «L’omicidio di Caino, il diluvio: alla fine “Dio si pente di aver risposto alla violenza con la violenza?”». Secondo l’arcivescovo, gli episodi «che riguardano la violenza sono da interpretare dalla luce del messaggio di Gesù ed è quello che faremo, dove nel centro ci sono l’amore, la pace e il perdono».
DI ERIO CASTELLUCCI *
Questa sera ci concentriamo sulle immagini della facciata del Duomo, che riguardano l’episodio di Caino e Abele, e quello di Noè e del diluvio universale, adottando la chiave di lettura che la Chiesa ci consegna e che è Gesù Cristo. Ci si potrebbe chiedere cosa c’entra Gesù Cristo per Caino, Abele, Noè che sono morti molto prima. La nostra lettura delle scritture non è puramente letterale, materiale. Non prendiamo brani delle scritture a caso perché, se facessimo così avremmo davanti semplicemente 73 libri, 47 dell’Antico Testamento e 26 del Nuovo, testi scritti in epoche molto diverse. Alcuni dell’Antico Testamento anche dieci secoli prima di Cristo.
Le scritture del Nuovo Testamento da dopo 50 dopo Cristo fino alla fine del secolo. Ma avremmo una specie di biblioteca che è piuttosto confusa perché rispecchia situazioni miti, storie, vicende, riflessioni che si sono dipanate nell’arco di oltre un millennio. E noi dobbiamo avere una chiave di lettura che è Gesù perché noi partiamo da Lui che è il compimento delle scritture: “vi è stato detto ma io vi dico” (Mt 5,21) Infatti nel Vangelo di Matteo Gesù afferma che non è venuto ad abolire ma a compiere le scritture. Compiere vuol dire che per noi la lettura delle diverse parti della scrittura prende le mosse da come Gesù l’ha interpretata. E questi episodi che riguardano la violenza sono da interpretare alla luce del messaggio di Gesù dove al centro c’è l’amore, la pace e il perdono.
Con questa chiave di lettura vediamo che cosa significano per noi queste grandi parabole delle origini. Sono due pagine notissime: Caino e Abele sono diventati l’emblema del fratricidio e l’episodio di Noè è diventato l’emblema del rinnovamento di un mondo che muore e rinasce.
Se noi guardiamo alle sculture del Wiligelmo si vede che nell’episodio di Caino e Abele c’è una rappresentazione molto viva e molto dinamica. L’episodio è rappresentato nel momento cruciale quando Caino e Abele offrono le loro offerte, assieme ad un’altra scena che riguarda Dio che parla a Caino, ma l’episodio che colpisce di più è proprio quello dell’uccisione di Abele. Caino è rappresentato in piedi, con un bastone molto pesante nell’atto proprio di scagliarlo e abbatterlo violentemente sulla testa di Abele dove in maniera molto viva c’è una capacità rappresentativa notevole. Abele sta stramazzando al suolo qui si può attirare l’attenzione sul dialogo che immediatamente segue e che mostra tutta la gravità di quanto è successo quando Caino risponde in maniera piuttosto presuntuosa quasi offensiva a Dio: Sono forse io il custode di mio fratello (Gn 4,9)? E la risposta di Dio? La voce del sangue del tuo fratello grida a me dal suolo (Gn 4,10). C’è veramente una ribellione che cosmica rispetto al gesto assassino di Caino perché è la voce del sangue che grida dal suolo che fa quasi dal megafono alla voce del sangue di Abele e questo dialogo (sono forse io il custode di mio fratello? La voce del sangue di mio fratello grida a me dal suolo) è una continua nota che inquieta la coscienza di ogni generazione.
L’episodio di Caino e Abele non è semplicemente avvenuto all’inizio della storia umana ma è ciò che accade ogni volta che un fratello compie violenza nei confronti di un altro fratello o sorella, è la storia di ogni giorno, è la storia di oggi, è la storia di questo momento in tante parti del mondo. E Dio non si può abituare alla violenza c’è questo grido che, se non arriva alle orecchie degli uomini arriva alle orecchie di Dio, (grida a me dal suolo).
L’autore immagina che Dio dall’alto delle nubi sente questa voce che è amplificata dal creato e arriva fino a Dio. È una scena che esprime proprio la gravità di quanto è successo a cui segue una parola di maledizione come Dio l’aveva pronunciata già sul serpente dopo la caduta di Adamo ed Eva. Un’altra parola di maledizione che sembrerebbe condannare per sempre l’omicida: ora sii maledetto, lungi dal tuo suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue del tuo fratello. Parole di maledizione sulla bocca di Dio, poi però ci rendiamo conto di cosa significa questa maledizione perché Dio la specifica e ad un certo punto e la attenua. Prima dice quando lavorerai al suolo non ti darà più i suoi prodotti (cf Gn 4,11) e quindi la fatica, il sudore nel lavorare il suolo l’infruttuosità del suolo e poi ramingo e fuggiasco sarai sulla terra (Gn 4,12). Poi nella scena successiva Dio mette una mano sulla spalla di Caino ed è l’interpretazione che l’artista dà di questo versetto misterioso: ma il Signore gli disse (quando Caino si lamenta in qualche modo con Dio perché chiunque lo incontrerà lo potrà uccidere): però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta a sette volte. Il Signore impose a Caino un segno perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato (Gn 4,15). Questo versetto è piuttosto misterioso, questo segno che Dio pone su Caino qui raffigurato con una mano quasi a dire: “io però non ti condanno, ti do fiducia ricomincia la tua vita lontano da questo suolo macchiato dal sangue del tuo fratello”. Nei padri della Chiesa a volte si ha questa interpretazione, che questo segno non sia altro che un marchio dell’anima che nel primo capitolo della Genesi è chiamato “immagine e somiglianza di Dio”, cioè l’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, ha questa impronta, questo segno e questa immagine e somiglianza non viene mai eliminata perché non dipende dal comportamento umano, dipende dalla fedeltà di Dio. Anche quando uno la infanga, anche quando uno la contraddice come avviene nel peccato, anche quando uno sembra coprirla concretamente come avviene nell’omicidio Dio non la ritira, Caino rimane sempre a immagine e somiglianza di Dio anche se l’ha contraddetta. E dunque Dio mette la mano sulla spalla per dirgli “hai fatto una cosa orribile il suolo non ti dovrà più vedere ma puoi continuare a camminare”. Infatti, alla luce della rilettura che Gesù fa del peccato e della misericordia di Dio, possiamo dire che qui l’artista ha voluto quasi raffigurare l’interpretazione cristiana, cioè il Signore che condanna il peccato ma da sempre fiducia al peccatore. Quando Gesù racconterà le parabole del perdono specialmente quella del Padre misericordioso la mano sulla spalla diventerà addirittura un abbraccio, il padre quando vede il figlio minore che tornava dopo aver sprecato tutti i beni, commosso gli corse incontro lo abbracciò e lo baciò (Lc 15,19) perché comunque era sempre rimasto suo figlio anche in una vita depravata.
L’altro episodio, la storia di Noè che conosciamo comincia con una frase molto strana quasi scandalosa potremmo dire rispetto alla nostra immagine di Dio: il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. Quindi si immagina il Signore che dall’alto vede solo il male, e poi «il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra … il Signore disse sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili, gli uccelli del cielo poiché sono pentito di averli fatti» (Cf Gn 6,5-6). «Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore» (Gn 6,8). E poi c’è la descrizione dell’arca che salva Noè, la sua famiglia e le coppie degli animali. Ma che cosa significa questa espressione a cui noi non siamo abituati, un Dio che si pente.
Anche qui siamo aiutati dal Nuovo Testamento a comprendere il senso di questi passaggi, perché nel Nuovo Testamento si dice che il diluvio che colpì l’umanità in questa parabola iniziale è immagine del Battesimo che ci salva. Il pentimento di Dio è un’immagine antropomorfa, dove si attribuiscono a Dio degli attributi umani per far capire che Dio ha un cuore, che Dio non è un ente impersonale, ma Dio ha un cuore. Nel Nuovo Testamento Gesù ci dirà che Dio è Padre. Nell’Antico Testamento abbondano, specialmente nelle parti narrative, questi usi antropomorfi: queste attribuzioni a Dio di passioni, di ripensamenti, di pentimenti per dire che Dio partecipa alle vicende umane. Dio non lascia mai che l’umanità perisca del tutto, ma fa sempre leva su una parte che si salva e che Lui stesso salva. C’è una specie di rigenerazione dell’umanità e allora l’umanità perisce nel diluvio; nel Nuovo Testamento diventa simbolo del male dal quale il battezzato rinuncia facendosi battezzare, e l’arca che esce dal diluvio diventa il simbolo della Chiesa che custodisce e alimenta la nuova vita di ciascuno. Infatti, se guardate l’arca dove spunta il volto di Noè, ha la forma stilizzata del Duomo: è praticamente il Duomo galleggiante sulle acque nell’interpretazione del Wiligelmo; cioè l’arca è la Chiesa e questa nuova vita avviene ogni volta che ci si fa battezzare, o che si recupera la fedeltà al Battesimo. Forse il migliore commento di questa immagine dell’arca di Noè è proprio la liturgia del Battesimo della Chiesa delle origini. All’inizio della storia cristiana la Chiesa permetteva, ma non favoriva, il Battesimo dei bambini, perché essere battezzati significava spesso essere esposti alla persecuzione, persino alla morte, e quindi si chiedeva che fossero battezzati gli adulti, che lo scegliessero sapendo bene a ciò a cui andavano incontro. Quando un adulto veniva battezzato, faceva una specie di “sottomissione” a un lavaggio spirituale, un diluvio potremmo dire, cioè lasciava che simbolicamente l’acqua lavasse via tutti i suoi peccati, la vita di prima, questa umanità malvagia; infatti si parlava di acqua che elimina la sporcizia spirituale. Il Battesimo poi avveniva normalmente nei battisteri non per infusione di alcune gocce sulla testa ma per immersione. Se pensiamo a Ravenna ci sono dei battisteri protocristiani dove la vasca battesimale, che poteva avere la forma ottagonale oppure anche una forma a croce, era fatta a gradini e il battezzando adulto si toglieva le veste, scendeva i gradini e immergendosi nell’acqua significava l’abbandono della vita di prima – la veste sporca questa umanità peccatrice – e con l’immersione, la salvezza di Dio. Dalla immersione riemergeva tre volte con la testa rispondendo alla triplice domanda Credi nel Padre? Credi nel Figlio? Credi nello Spirito? Così nacque il simbolo di fede che poi venne ampliato lungo i secoli e che noi chiamiamo “il credo”.
Poi riemergeva ormai lavato come dal diluvio e veniva rivestito con delle vesti bianche, simbolo della nuova vita che aveva assunto. San Paolo, di questo rito nei tre momenti discesa, immersione, emersione – dà un significato pasquale, il Battesimo è immersione nella morte di Cristo, la sepoltura con lui, e l’emersione è nella risurrezione. Questo è il significato profondo del diluvio: non è che Dio si pente, ma il Signore dà sempre all’umanità una possibilità nuova, e l’arca è la Chiesa, cioè il luogo nel quale questa umanità rinnovata viene costituita e alimentata. Noi nella Chiesa veniamo accolti col Battesimo, veniamo alimentati con l’Eucaristia, noi nel grembo della Chiesa riceviamo la salvezza, cioè riceviamo tutti gli strumenti e i mezzi per poter rimanere fedeli al nostro Battesimo. La parabola di Noè ha anche una portata cosmica, proprio come il racconto di Caino e Abele: cioè, in questi racconti la Bibbia, secoli prima di Cristo, aveva intuito e rappresentato il fatto che la sorte dell’umanità è la sorte di tutto il cosmo. Nel racconto di Adamo ed Eva si dice che il giardino viene consegnato all’uomo per essere coltivato e custodito e che l’uomo e la donna sono l’apice del creato; nel racconto di Caino e Abele il suolo fa da megafono alla voce del sangue innocente che grida; e nel racconto di Noè tutto il cosmo viene allagato. Un’alluvione che riguarda tutta la terra, e poi pian piano tutto il cosmo riemerge: si salvano gli esseri umani e una coppia di ciascun animale, perché la vita potesse riprendere, con quel simbolo bellissimo della colomba che porta un ramoscello e dell’arcobaleno che mostra la pacificazione tra Dio e l’umanità. In questo racconto così vivo è espressa la volontà di Dio di vincere ogni violenza, di ridare sempre nuova vita là dove gli esseri umani si fanno guerra, di non rispondere alla violenza con la violenza, ma rispondere alla violenza con una fiducia rinnovata attraverso una purificazione. Con Adamo e Eva la purificazione consiste nel fatto che ad Eva il Signore pronostica la sofferenza nel parto e ad Adamo la fatica nel lavoro; a Caino il Signore dice «tu non potrai più tornare su questo suolo, vivrai da fuggiasco e la terra non risponderà più al tuo lavoro»; e nel caso di Noè c’è una rigenerazione di tutta l’umanità. Ma questo è il messaggio che, alla luce di Cristo, noi possiamo cogliere: il Signore dà sempre una nuova possibilità. La Chiesa ha interpretato tutto questo anche a livello sacramentale perché, se il Battesimo l’abbiamo ricevuto da bambini e l’abbiamo rinnovato nella Cresima, molte volte poi nella vita quotidiana noi lo contrastiamo, in qualche modo lo neghiamo con il peccato; non viviamo sempre in conformità al nostro Battesimo. E allora la Chiesa dà, come si diceva all’origine, una seconda tavola di salvezza dopo il Battesimo: c’è una nuova arca che è la Penitenza, cioè il Signore attraverso la Chiesa prova sempre a recuperarci, ci dà sempre una nuova possibilità. Credo che in preparazione al Natale sia bene ricordarci proprio questo: non esiste nel vocabolario di Dio la parola «spacciato»; se anche di fronte all’assassinio di un fratello il Signore dà un segno perché Caino si possa salvare e continuare a camminare, vuol dire che nella vita di ciascuno di noi non c’è mai il momento in cui Dio mette la parola fine. Il Signore ci dà sempre questo abbraccio che manifesta la sua fiducia e offre una nuova possibilità per il mondo.
* arcivescovo





