Com. St.66 del 29 maggio 2013 – Omelia di monsignor Francesco Cavina nel primo anniversario del terremoto


Mercoledì 29 maggio, ore 18.30


Mirandola, tensostruttura parrocchiale di via Posta


 


 


Il Vangelo della Messa di oggi, mercoledì 29 maggio, riporta la richiesta dei figli di Zebedeo di occupare i primi posti nel nuovo Regno. Una richiesta che suscita la reazione degli altri apostoli e costituisce un motivo per Gesù per dichiarare che esiste un nuovo modo di esercitare il potere, una maniera nuova di ‘essere grandi’. Il Signore stesso indica loro il fondamento di questa nuova nobiltà e la sua ragion d’essere: ‘Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti’. La vita di Gesù è un infaticabile servizio ‘ anche materiale ‘ degli uomini: li ascolta, li ammaestra, li conforta, fino a dare la vita.


Siamo qui oggi per ricordare prima di tutto le vittime del tremendo terremoto, pregare per loro e per le loro famiglie e poi per riflettere su un evento che ha lasciato strascichi materiali e morali ben lontani da essere risolti.


Ebbene, l’esempio della vita di Gesù costituisce un punto di riferimento insostituibile, certo e luminoso per leggere quegli eventi drammatici e per interrogarci, tutti, sulla nostra disponibilità a portare ‘gli uni i pesi degli altri’ (Gal 6.2). Per potere degnamente ed efficacemente servire gli altri è necessario sapere dominare se stessi e dunque possedere le virtù che rendono possibile questo dominio, quali l’umiltà di cuore, la generosità, la fortezza’ virtù che ci rendono capaci di mettere la nostra vita al servizio di Dio, della famiglia, degli amici, della società.


L’esercizio di queste virtù, impedisce, nell’ora dell’emergenza, la disgregazione, che è il risultato dell’isolamento egoistico e del disimpegno rispetto ai problemi altrui. Chi si isola per pensare a sé ritenendo di risolvere da solo i problemi è come un membro del corpo che pretende di funzionare indipendentemente dagli altri. Il risultato dell’isolamento non può essere che il fallimento.


Chi invece accetta di farsi imitatore di Cristo e si impegna per gli altri e per la comunità, chi sceglie di fare agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a sé e si fa prossimo dei suoi compagni di dolore, realizza il disegno di Dio e dà frutti fecondi.


L’importante non è tanto realizzare molto, quanto realizzarlo insieme perché non si rinasce da soli. Il dolore, la tristezza, lo sconforto sono vinti solo dall’amore che si fa condivisione e corresponsabilità.


Dall’amore sgorga la speranza. La speranza cristiana rifiuta due opposte tentazioni, forti come non mai nell’ora della prova. La prima è la tentazione della disperazione, per la quale il male presente sembra talmente grande da schiacciare ogni possibilità di resurrezione e di vita. Il disperato non crede più al senso di esistere, non ha più fiducia nell’impegno e nella lotta, e si ripiega in una rassegnazione passiva vicina al fatalismo e all’apatia. Il cristiano è chiamato a vedere anche nel male attuale i segni del bene promesso: ‘Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi! (Rm 8.18).


L’altra tentazione contro la speranza, oltre che contro la giustizia, è quella della temerarietà. E’ l’atteggiamento di chi non si confronta con il mistero di Dio, e presume di costruire il proprio futuro mettendo in atto i propri progetti dimenticando gli altri. Contro questa presunzione la speranza cristiana diventa non solo appello a confidare in Dio, ma protesta contro calcoli utilitaristici che distruggono la comunione: ‘Guai a chi costruisce la casa senza giustizia’ (Ger 22.13).


Chiediamo alla Vergine Maria che ci aiuti ad essere leali e fedeli nel nostro comportamento quotidiano, nel compimento dei nostri doveri e degli impegni che ci siamo assunti.


 


                                                                                                                              + Francesco Cavina, Vescovo