Colpito alla tempia e alla schiena cadde come in croce sulla siepe di spine
Il martire cristiano è una persona che è morta per avere testimoniato la propria fede fino alla morte di fronte a una minaccia, appunto, di morte. Ritengo che anche don Venturelli appartenga alla schiera dei martiri cristiani in senso specifico. Da tempo però la parola martire si è allargata a coloro che versano il proprio sangue, anche involontariamente, in circostanze tragiche: martiri del lavoro, del dovere, della politica, della guerra, che in qualche modo vengono assunti nella sfera religiosa. Si sottolinea in questi casi l’esperienza di una violenza estrema subita da chi afferma un importante valore umano (democrazia, diritti civili, fedeltà al dovere,…). In questi casi preferirei parlare piuttosto di eroismo che di martirio.
Il martire cristiano non esprime solo la fortezza dell’eroe, ma anzitutto afferma la sua fede in Cristo, riconosciuto come Dio che si è fatto storicamente salvatore del mondo (cf Gv 20,30s; 19,35). La fede poi si vive in uno stato permanente di conflitto (cf Gv 15,20; 1Pt 4,12), che può arrivare fino al sangue (Lc 21,6), fino a “perdere la propria vita” per essere degni del Signore (cf Mc 8,25). Ci sono tanti stili di essere martiri. C’è chi si slancia intrepidamente, al modo di santa Agatonice, come leggiamo nel racconto, storicamente attendibile, del martirio dei santi Carpo, Papilo ed Agatonice. C’è chi, come san Tommaso Moro, fa di tutto per non morire. Così dichiara sul palco del supplizio: “Muoio come buon servitore del re, ma prima di tutto come servitore di Dio!”. Ogni martire si esprime
secondo il proprio temperamento, con sincerità, “avendo…gli angeli…come spettatori (cf 1Co 4,9). Don Venturelli era un tipo asciutto e sobrio nel modo di esprimersi e presentarsi. Come prete era guidato da un forte senso del suo dovere, della sua responsabilità di pastore. Quando si aprì il Campo di concentramento, lo considerò un allargamento del suo gregge di Fossoli. Fu assiduo a rispondere a ogni problema e a ogni persona, senza distinzioni. Fu proprio sul sentiero del suo dovere di pastore che si preparò al martirio (novembre 1945) e poi lo incontrò (15 gennaio 1946). Quella sera fu un semplice sì, l’assenso per una fedeltà a Cristo senza condizioni, scartando l’alternativa della propria incolumità.
Preferisco lasciare la parola a Olinto Lugli, a quei tempi un suo chierichetto. Eravamo alla fine di novembre in chiesa. “Non fu uno dei soliti incontri. Don Francesco, in piedi quel pomeriggio, parlava, come se fosse molto preoccupato e la sua mente a tratti andasse a spaziare lontano…Non si decideva a concludere e a mandarci a casa…Quel giorno ci parlò della Madonna in modo come se pensasse al ‘dopo’ la sua esistenza in vita, raccomandandoci nel contempo di essere sempre fedeli alla Madonna… Alla fine con un viso tirato e una voce che tradiva una profonda emozione, ci rivolse pressoché queste parole: ‘Ragazzi miei carissimi, vi confido un segreto: io voglio rimanere qui a Fossoli per sempre. Quando verrò a mancare ricordate…che io desidero essere sepolto qui, nel cimitero di Fossoli, per terra, dietro l’abside, sotto la nicchia della Madonna: vicino a lei sarò felice. Viviamo in tempi difficili, ma uniti alla Madonna siamo sicuri della salvezza’”.
Il presentimento di don Francesco trova conferma dopo due mesi, come apprendiamo dalla continuazione del racconto. “Alle 19 [del 15 gennaio] qualcuno bussa insistentemente alla porta della canonica. Uno sconosciuto, apparentemente agitato, racconta che un automobilista, ridotto in fin di vita per un incidente stradale, vuole un prete, chiede l’Estrema Unzione. Adalcisa, la sorella, non crede a quell’uomo: sconsiglia il fratello di andare. Don Francesco riflette un attimo, poi, preso in fretta l’Olio Santo, si butta il mantello sulle spalle e parte con lo sconosciuto. La sorella preoccupata li segue fino al sagrato, dove si ferma in ansia… Don Francesco e lo sconosciuto alla sua destra camminano affiancati, in silenzio, con passo rapido lungo lo stradello. Percorsi una ventina di metri lo sconosciuto esplode a bruciapelo un colpo di pistola alla tempia destra di don Francesco, il quale, giratosi di scatto a sinistra, riceve un secondo colpo alla schiena e cade, come in croce, sulla siepe di spine che costeggia lo stradello”.
Chi fossero l’assassino, il mandante e il movente non fu mai accertato. Ma il martirio lo fa non l’intenzione di chi uccide, ma quella di chi muore per Cristo.