Fino a qualche anno fa in Italia ce ne accorgevamo con più difficoltà. L’espansione dei parchi, la crescita dell’attenzione ambientale compensavano in parte lo squilibrio che già stava impoverendo la natura. Adesso la violenza e la rapidità con cui ci incalzano roghi, trombe d’aria, grandinate anomale, alluvioni, ha reso evidente che qualcosa nel meccanismo del clima che conoscevamo si è rotto. E i dati forniti dal Global Footprint Network ci offrono uno strumento per misurare il disagio che avvertiamo, ci aiutano a capire il perché.
Per andare avanti tranquilli, sapendo che possiamo lasciare ai nostri figli il benessere che collettivamente abbiamo conquistato, avremmo bisogno di un pianeta di riserva, un pianeta che ha le stesse ricchezze naturali del nostro. Consumiamo già il 70% delle risorse di questo pianeta virtuale. Il problema è che, visto che non esiste, le prendiamo dal nostro sottraendole a chi non è ancora nato, e dunque non può farci causa.
L’Overshoot Day, il giorno in cui cominciamo a prendere quello che non è nostro, che appartiene ai figli e ai nipoti, quest’anno cade il 2 agosto. Da quel giorno scatta il debito ecologico, viviamo con beni presi non a prestito (perché non possiamo restituire le specie che scompaiono) ma a scapito del futuro. Cioè mangiamo pesci che non si sono ancora riprodotti, tagliamo più alberi di quelli che ricresceranno, buttiamo via più spazzatura di quella che riesce ad essere metabolizzata senza danni.
È un problema di bulimia, stiamo divorando il pianeta a un ritmo più veloce di quello consentito dagli ecosistemi. Invece di una dieta leggera, basata sulla quantità di vegetali che il sole fa ricrescere, consumiamo i combustibili fossili che erano stati sepolti nelle viscere della terra centinaia di milioni di anni fa, spezzando così l’equilibrio geologico del carbonio. Il sovra consumo porta al degrado del suolo, all’esaurimento delle riserve alimentari, alla perdita di biodiversità, all’accumulo di gas serra.
Il Global Footprint Network, utilizzando i dati dei National Footprint e Biocapacity Accounts, lo dice in altro modo ma il concetto è lo stesso: “La data segna il momento in cui la domanda di risorse naturali da parte dell’umanità supera la capacità della Terra di rigenerarle entro quell’anno”.
Non è una malattia incurabile. Anzi conosciamo perfettamente una terapia efficace che ci potrebbe aiutare a risolvere anche altri problemi, a cominciare da quelli sociali. Potremmo eliminare gli sprechi guadagnando circa un terzo del cibo che produciamo (quello che oggi viene perso lungo la catena di produzione e consumo). Utilizzare l’energia rinnovabile invece di quella fossile e aumentare l’efficienza (tagliando così buona parte delle emissioni serra che ci tornano indietro sotto forma di uragani e siccità crescenti). Recuperare i materiali scartati invece di scavare nuove miniere (tiriamo fuori dalla pancia della Terra più di 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno).
Potremmo ma non lo facciamo, o lo facciamo con pericolosa lentezza. L’ultima dimostrazione è arrivata con l’offensiva delle destre europee sulle Nature Restoration Law, la legge che prevede di ridare fiato agli ecosistemi, di restituire fertilità alla terra, di avere più alberi che ripuliscono l’aria e ci aiutano a sopravvivere durante i picchi di caldo come quello che l’anno scorso ha ucciso 18 mila persone in Italia. La legge è passata per pochi voti, ma lo scontro è rimandato alle prossime elezioni europee, un appuntamento che avrà al centro la battaglia sulla transizione ecologica.
Proprio all’incertezza con cui i decisori politici affrontano una questione che dovrebbe essere considerata di interesse bipartisan è dovuto – sottolinea Roberto Brambilla, della Rete per la politicità sociale che in Italia collabora con il Global Footprint Network – il grande ritardo e la scarsa efficacia con cui si affronta la crisi ecologica.
Un ritardo di reazione che ha portato al progressivo peggioramento della situazione. Nel 1970 gli ecosistemi globali erano ancora in equilibrio. Dieci anni dopo l’Overshoot Day è scattato a novembre. Nel 2000 a settembre. E negli ultimi 20 anni abbiamo perso altra stabilità, facendo precipitare il giorno in cui inizia il debito ecologico al confine tra luglio ed agosto. Il conto ecologico è in rosso, bisognerebbe rivitalizzarlo con un po’ di capitali naturali.