Editoriale del n. 17 del 4 maggio 2014


Attualità della festa del 1° maggio

 

Per riaccendere la speranza
di Stefania Gasparini

 

Ha senso festeggiare ancora il 1º maggio? Sì, per tanti motivi. Ha senso perché il lavoro, come riconosciuto nella nostra Costituzione, è fondamento della nostra Repubblica. Ha senso perché quando il lavoro manca, o non è libero, gli uomini diventano schiavi e servi. Ha senso perché il lavoro è libertà e, come diceva Gaber, la libertà è partecipazione.
Mai come in questa crisi abbiamo scoperto come l’essere umano senza lavoro sia più fragile, non solo, ovviamente, economicamente, ma si senta minato nel suo stesso essere nel mondo e per questo si sente più solo, meno libero di essere pienamente cittadino.  Con questa crisi abbiamo riscoperto che lavorare non significa solo aspettare il giorno di paga, ma il nostro lavoro ci identifica.
Se il lavoro è precario ci sentiamo precari, se il lavoro non c’è ci sentiamo inutili, se il lavoro è mal pagato ci sentiamo poveri dentro prima ancora che economicamente. Per questo mai come quest’anno la Festa del lavoro va festeggiata, perché anche se il lavoro manca nessuno abbia scuse per stare a ‘mani incrociate’ come ci ha ricordato il Papa pochi giorni fa.
Siamo stati con le mani incrociate per troppo tempo pensando che i diritti raggiunti negli anni fossero dati una volta per tutte, oggi invece ci accorgiamo che non è più cosi.
Siamo stati con le mani incrociate quando non abbiamo visto l’inizio della crisi, nel momento in cui lentamente e sommessamente il lavoro, il produrre, si è staccato dall’uomo e non ha più prodotto nulla. Quando il soggetto del lavoro ha smesso di essere l’uomo per diventare il profitto. Non dobbiamo stancarci di dire che questa crisi è non solo economica, ma anche morale, perché un uomo o una donna senza lavoro sentono di perdere la loro dignità di esseri umani e di cittadini, si sentono esclusi dalla loro comunità, come rigettati.
Questo senso di esclusione diventa letale per le comunità, perché dall’esclusione nascono il nichilismo e il pessimismo che fanno vedere solo le tribolazioni del mondo e che rischiano di farci perdere la Speranza.
Il senso di esclusione lo sentono quei ragazzi che, finita la scuola, si ritrovano senza un futuro lavorativo e allora si immergono in un eterno presente che annienta  la loro vitalità che dovrebbe essere propria delle giovani generazioni.
Il senso di esclusione lo sentono tutte quelle donne e quegli uomini che ancora oggi, nel 2014, devono decidere tra lavoro e famiglia per mancanza di adeguate politiche famigliari.
Come fare per non perdersi nel pessimismo di fronte a tutte queste mancanze? Ancora una volta mi permetterete di citare le parole di Papa Francesco: ‘a tutti i responsabili chiedo di compiere ogni sforzo di creatività e di generosità per riaccendere la speranza nei cuori’. Mi sono sentita presa in causa dall’appello del Papa  e mi sono interrogata su cosa significhi compiere ogni sforzo di creatività.
Ritengo che al mondo d’oggi significhi applicare la creatività alla propria responsabilità, provando a non dare nulla per scontato o raggiunto, rimettendo al centro l’uomo con tutte le sue complessità contemporanee e provare a ripartire da quelle, affrontandole oltre i vecchi schemi che ci hanno portato fino a questa crisi. Significa provare a ripartire dal concetto di libertà, una libertà che oggi ci fa credere di avere tutto, ma che in realtà ci ha imbrigliato in schemi dell’economia e della società dai quali fatichiamo ad uscire, schemi che ci impediscono di ripensare il futuro. Invece il futuro è nostro e ce lo dobbiamo riprendere.
Buon Primo Maggio!