Gli operai cinesi morti nel rogo in una fabbrica di Prato
Le lacrime del dragone
di Luigi Lamma
di Luigi Lamma
Dopo la strage di migranti morti nel mare di Lampedusa si pensava forse di aver toccato il fondo della disumanità, dello sfruttamento di esseri umani, dell’asservimento della dignità umana alle conseguenze prodotte da una globalizzazione sempre più selvaggia. Quanto accaduto domenica in un capannone alle periferia di Prato aggiunge invece un altro triste contributo a questa folle logica. Dire Prato è come dire Carpi per certi aspetti, un distretto caratterizzato dalla manifattura tessile con tanti collegamenti commerciali ancora in essere, anche se la concentrazione di cittadini e di aziende gestite da cinesi non è numericamente paragonabile. Le dinamiche di inserimento nel tessuto produttivo della comunità cinese però sono le medesime e sono ricorrenti nella cronaca locale notizie riferite a controlli ed accertamenti svolti dalle forze dell’ordine per far emergere situazioni di illegalità e di clandestinità presenti anche nel nostro territorio. E’ capitato a Prato poteva capitare a Carpi, o a Mirandola, ovunque si rilevano o si conoscono analoghi concentramenti di operai all’interno delle fabbriche che sono allo stesso tempo luoghi di lavoro e luoghi di vita con tutto quello che comporta. Quello di Prato era il capannone di un ‘pronto moda’, qui gli operai lavoravano, vivevano e dormivano, in loculi in cartongesso dove hanno trovato la morte. Così è, lo sanno tutti, è la risposta di chi opera nel settore. Ora però di fronte a questa ennesima tragedia dell’immigrazione clandestina la reazione deve essere forte e unanime se no da spettatori si diventa complici. Durissime e condivisibili sono state le parole del Vescovo di Prato: ‘Una parola si impone sulle altre: ‘basta!’. È l’ora di una reazione unanime e di un soprassalto di umanità. ‘Basta!’ a situazioni di lavoro non degne dell’uomo e delle conquiste sociali degli ultimi decenni; basta all’illegalità, che troppo spesso combina insieme gli interessi immorali di molti pratesi e le attività disinvolte di tanti imprenditori cinesi; basta allo sfruttamento della manodopera immigrata cinese, anche quando assume i connotati dell’autosfruttamento’. Affermazioni che non necessitano di ulteriori commenti se non lasciare spazio ad una sincera presa di coscienza delle proprie responsabilità da parte di politici e amministratori, istituzioni deputate al controllo della legalità nei luoghi di lavoro, imprenditori italiani e cinesi. E infine un appello, un’oggettiva presa d’atto che deve sollecitare azioni anche nel nostro territorio: ‘abbattere i muri dell’incomunicabilità tra cinesi e italiani’. Solo così tragedie come quella di Prato e altre situazioni di sfruttamento potranno essere prevenute ancor prima che represse.