Editoriale del n. 9 del 9 marzo 2014

Europee 2014
Un’elezione, due referendum
di Luigi Lamma
 
Mancano meno di 100 giorni alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, si voterà infatti in tutti gli stati membri tra il 22 e il 25 maggio. É opinione diffusa che questa consultazione elettorale rappresenti un vero e proprio referendum per i destini dell’Europa unita. Per almeno due motivi: l’ondata di populismo antieuropeo e il modello antropologico e di società che si prefigura con l’affermarsi della cosiddetta cultura dei ‘diritti’ che meglio si potrebbe definire dei ‘desideri eretti a diritti’.
Soffia forte nel vecchio continente il vento del populismo e dei nazionalismi più esasperati. ‘Manca ancora un’analisi seria e approfondita del fenomeno – scrive Gianni Borsa, corrispondente del Sir a Strasburgo – che certo non si può liquidare con qualche anatema democratico. Le forze che si definiscono esplicitamente ‘populiste’, o quelle che ne hanno inconfessati tratti, sono espressione di un malcontento rispettabilissimo, che nasce dalla stessa recessione, dalla disoccupazione dilagante, da giovani generazioni che si vedono ogni strada sbarrata”. Anche in Italia esistono forze politiche che si preparano a fare dell’antieuropeismo il loro argomento forte, con motivazioni differenti, dall’autonomismo al rifiuto dei vincoli economici e finanziari, ma in fondo l’obiettivo è comune: delegittimare le istituzioni europee e minare alle fondamenta il processo di integrazione tra i paesi membri.
Quale risposta compete ai cristiani, anche loro ‘non esenti dal populismo’ come afferma un documento (del 2010) della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea)?
A partire dal principio che ‘il populismo è l’opposto dell’idea di integrazione europea’ ed ‘è assolutamente incompatibile con la vocazione universale della Chiesa’, è necessario che le comunità cristiane siano formate e informate sul valore alto della posta in gioco di questo passaggio politico ed elettorale, rinunciando prima di tutto alla tentazione dell’astensionismo.
C’è poi un secondo referendum nascosto tra le pieghe della scheda elettorale ed è quello su principi e valori di riferimento ai quali ispirare le legislazioni degli Stati membri e gli indirizzi comunitari. Si può ricordare a titolo di esempio che nel corso del 2013 c’è stata una forte mobilitazione dei cattolici per contrastare l’approvazione del Rapporto Estrela ‘sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi’ che contiene indirizzi in materia di aborto, di contraccezione e di educazione sessuale, oltre a quanto di meglio prevede il repertorio del perseguimento dell’omofobia. Si può ricordare che Edite Estrela è un’eurodeputata del Partito Socialista Europeo, proprio la ‘grande famiglia’ nella quale Matteo Renzi ha fatto confluire il Pd. Non tutti però nel Pd si sentono a proprio agio nella nuova famiglia socialista: a Giuseppe Fioroni, contrario, e al modenese e renziano doc Matteo Richetti, astenuto, va dato atto di non essersi accodati al popolo dei vassalli plaudenti del nuovo enfant prodige della politica italiana. Certo l’adesione del Pd al Pse un merito c’è l’ha: sgombra il campo da tanti equivoci ed equilibrismi, solleva molti elettori cattolici da un problematico discernimento. Questa volta servirà ben poco il gioco delle candidature d’area, qualche cattolico in lista qua e là, per dire che su certi principi anche nel Pse ci potrà essere libertà d’opinione. In realtà rafforzare il Pse vorrà dire sostenere l’affermarsi dei ‘nuovi diritti’ in Europa.
Ai nostri figli, è bene ricordare a Matteo Renzi, non dobbiamo solo un risanamento economico, ma ‘un futuro umano, di pace, libertà e prosperità per l’Europa’ e in questo contesto ‘occorre testimoniare socialmente e decidere politicamente che i cosiddetti ‘nuovi diritti’ sono in realtà ‘nuove schiavitù’ per le genti europee’. 





 

Verso l’8 marzo
La forza genuina delle donne

di Lucia Truzzi

 

Le indagini regionali continuano a confermare che le donne non hanno un lavoro adeguato al loro livello culturale, che occupano posizioni professionali meno remunerative e prestigiose di quelle degli uomini e che dedicano al lavoro domestico settimanale in media più di 23 ore a fronte delle 7 ore degli uomini; la disoccupazione, infine, colpisce prima e in modo maggiore la categoria femminile nel nostro paese.
Come si può, così, essere donne di speranza? Sono nata negli anni Ottanta e da trentenne mi scontro con la faticosa realtà di essere donna e madre oggi. Sono pochissime le mie coetanee che al termine dell’università possono aspirare a una carriera professionale in linea con i propri studi. Ognuna si è reinventata in modo diverso, dovendo comunque confrontarsi con la scelta se dare priorità alla costruzione di una famiglia (domanda che spesso ci si sente porre anche in sede di colloquio) o a un lavoro che forse potrebbe decollare. Senza un’occupazione stabile è difficile programmare a lungo termine, ci è richiesto di essere flessibili non solo nel presente ma nel futuro, legato sempre più spesso alla durata breve dei contratti. Questo mette in crisi la propria idea di realizzazione professionale e di sé.
La scelta del tema di quest’anno del Centro italiano femminile ‘Rigenerare la vita, coltivare la speranza’ è un richiamo a osservare con occhi diversi il passato, il presente e il futuro. Se ci si guarda intorno con attenzione, si scoprono donne che ogni giorno si rimettono in gioco, cercando di costruire qualcosa di nuovo e inedito proprio a partire dalla loro complessa realtà. Solo così è possibile vivere da credenti autentiche e cittadine: rintracciando, riconoscendo, ricomponendo e rigenerando i pezzi della propria storia, dando insomma un nuovo significato a quello che c’è, a un presente che è carico del passato e aperto all’avvenire. Ci sono donne che oggi, nonostante un lavoro che le impegna moltissimo, danno il proprio tempo libero per gli altri o si ritagliano un momento di silenzio e preghiera nella messa feriale. Ci sono donne che si donano alla politica, in un momento delicato e confuso per il Paese, rinunciando in parte alla propria vita familiare e amicale. O che, nella fatica quotidiana di essere presenti sul lavoro ‘con orari flessibili’ ‘ mentre i servizi pubblici pretendono dalle famiglie orari molto rigidi ‘ sono ottime madri e mogli. Ci sono donne che, costruendo piccole reti di persone, aiutano altre a sentirsi meno sole nei momenti importanti della vita. O che ogni giorno lottano contro la criminalità organizzata. Ci sono donne che scelgono la clausura per vivere la loro femminilità nella cura di tutti attraverso la preghiera.
Poi, ci sono uomini come papa Francesco: ‘Pensiamo alla Madonna ‘ osserva ‘, nella Chiesa crea qualcosa che non possono fare né vescovi né papi. È lei il genio femminile. Le doti di delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia’. È necessario, allora, che al richiamo di ‘Rigenerare la vita, coltivare la speranza’ rispondano anche gli uomini, assumendosi la responsabilità di riconoscere la parità di genere sul lavoro, ma anche in famiglia e nelle attività di cura, consapevoli che ‘senza le doti della donna la vocazione umana non può essere realizzata’. Un percorso che l’8 marzo ci consegna per uscire dalla crisi che caratterizza questo tempo.