Ripensare a don Venturelli vuol dire costruire il futuro sui tesori del passato
Ospitalità radicale
Negli ultimi decenni, anche per l’impulso al riguardo dato da Giovanni Paolo II, nella chiesa cattolica si è ripreso a parlare molto di santi e di santità, e si sono moltiplicate le cause di beatificazione e di canonizzazione. Tale orientamento mi pare risponda a sollecitazioni diverse: fra le quali, in primo piano, c’è la convinzione che occorra – in un tempo di incredulità diffusa o di religiosità puramente intellettuale – riscoprire l’esemplarità di singole figure eroiche, che risultino particolarmente vicine agli uomini e alle donne di oggi, e capaci di offrire, in particolare ai giovani, testimonianze vitali e di orientarne le scelte esistenziali e di fede. I “santi della porta accanto”, espressione coniata da papa Francesco nella Gaudete et exsultate, del 2018, ai nn.6-7, e ripresa dal vescovo Erio nella sua lettera pastorale del 2019 E camminava con loro. Ecco: credo che la figura di don Francesco Venturelli, su cui ci siamo già soffermati sulle pagine di Notizie, faccia parte a pieno titolo di tale categoria, ben al di là del suo (eventuale) riconoscimento canonico. Il parroco di Fossoli, infatti, per testimonianza unanime, fu in grado di incarnare una sequela e una fiducia attiva nel Signore vissute nel quotidiano, nell’ordinario della propria vocazione presbiterale, in ciò che una volta si chiamavano i doveri del proprio stato; ma anche in tutti quei piccoli atti di gratuità, di attenzione, di cura dell’altro che costruiscono le relazioni lungo il tempo, creano fiducia, sollecitano reciprocità e responsabilità, e in tal modo fanno crescere, non di rado con sofferenza. Leggendo la biografi a di don Francesco tracciata da Danilo Sacchi (Il prete di Fossoli) mi è venuto in mente un teologo francese, Christoph Th eobald, sostenitore del fatto che nella Bibbia emerge l’idea di una santità ospitale, un’ospitalità nel quotidiano che – già presente nel Primo Testamento – caratterizza costantemente la figura di Gesù, l’essere ospitale per eccellenza, nella sua singolare capacità di imparare da chiunque, da qualunque situazione egli viva. La sua ospitalità è radicale, al punto che egli si annulla per permettere all’altro di trovare la propria identità: “La tua fede ti ha salvata” (Lc 7,50; 8,48…). Ripensare ecclesialmente a don Venturelli, infine, può aiutarci, sul versante diocesano, a domandarci in cosa consista l’essere santi oggi, e a cosa può condurre la scelta radicale di essere fedeli al vangelo: certo, si tratta sempre di una memoria pericolosa (J.B. Metz) e a caro prezzo, come capitò a lui, che pagò con la vita tale fedeltà. Ecco perché è auspicabile che si individuino le forme migliori affinché il suo ricordo si conservi vivo, e affinché soprattutto le generazioni più giovani ne facciamo oggetto di riflessione e di meditazione. Come scrive Simone Weil ne La prima radice: “Il futuro non ci porta nulla, non ci dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli persino la nostra vita. Ma per dare bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi. Fra tutte le esigenze dell’anima umana nessuna è più vitale di quella del passato”.
Brunetto Salvarani