Sono riandato subito a quel suo pensiero, lunedì 13 aprile, partecipando grazie alla rete all’Incontro interreligioso e multiculturale voluto con lungimiranza dalla Diocesi e dal Comune di Carpi: perché in poco più di mezz’ora, in una piazza Martiri vuota di gente ma gremita di speranza, è risuonato un intenso concerto di voci a un tempo sommesse e dolcissime. Voci diverse, certo, ma unite contro la prepotenza della pandemia in atto, che hanno mescolato, in un silenzio quasi irreale, preghiere antiche e suppliche attuali, ricorrendo significativamente a lingue differenti: oltre all’italiano, l’ebraico, il moldavo, l’arabo, il cinese e il punjabi.
La convivialità delle differenze, amava dire il vescovo don Tonino Bello. Il fatto è che – come ha ricordato papa Francesco nel discorso del 27 marzo in piazza san Pietro – ci stiamo rendendo conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme, e bisognosi di confortarci a vicenda. Questo il senso profondo dell’evento carpigiano, il cui significato, in prospettiva, va molto oltre l’odierna contingenza, per proiettarsi in un domani in cui le comunità religiose saranno convocate – più che in passato – a trovare un proprio ruolo nello spazio pubblico; e a farlo, beninteso, laicamente e il più possibile insieme, se intendiamo prendere sul serio la bella preghiera con cui si è conclusa l’iniziativa: “Il futuro di tutto l’universo è vivere insieme. Dopo le dolorose smagliature causate dal coronavirus nella vita pubblica, nelle espressioni culturali, nell’economia e persino, nel nostro stile di vita personale, anche la nostra comunità ha bisogno di un impegno più determinato, generoso e intelligente”.
L’auspicio, dunque, è che lo Spirito di Assisi, l’onda lunga dell’epocale raduno delle religioni per la pace promosso da san Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, si imponga finalmente come unica strada percorribile in un pianeta ormai definitivamente interdipendente; e che i passaggi chiave del papato di Bergoglio, dalla Laudato si’ al Documento di Abu Dhabi, siano percepiti su scala mondiale non come pie utopie, ma sguardi potenti non meno che necessari per le prossime generazioni, oltre che per quella presente. In questa direzione, avremo sempre più bisogno di uomini e donne forti e disponibili per ciò che in alcuni ambienti ci si è abituati a chiamare il dialogo della diakonìa: animato quotidianamente da gesti concreti di cura reciproca, compassione e solidarietà, più che da discussioni teoriche e memorie infrangibili.
Creatività, responsabilità e pazienza sono le parole d’ordine che potrebbero consentirci, chissà, di inaugurare una stagione inedita e persino più felice di quelle che abbiamo alle spalle, anche nell’ambito delle relazioni fra le religioni e le chiese.
E a Carpi, se il buongiorno si vede dal mattino, siamo in pista per fare appieno la nostra parte.
Brunetto Salvarani