Cooperazione umanitaria e interdipendenza
AiutiamoCi a casa loro
La vicenda della giovane cooperante Silvia Romano, rapita in Kenya e liberata in Somalia, ci ha particolarmente colpito. Dispiace che la società italiana, anziché unirsi nella gioia per la liberazione della giovane, sia apparsa divisa e vale allora la pena chiedersi perché questa vicenda ha creato contrapposizioni e sospetti. Secondo la lettura convenzionale, tali reazioni sarebbero state provocate dal pagamento del riscatto ai terroristi e dalla conversione della giovane all’Islam, amplificate dalla sovraesposizione mediatica del suo rientro. Ma a tali motivazioni corrispondono già convincenti risposte sul piano etico e religioso. Infatti la scelta di pagare un riscatto per salvare una vita umana è frutto di uno dei maggiori guadagni morali della modernità. Insieme a Kant abbiamo compreso che l’uomo va sempre considerato un “fi ne in sé” – e mai un mezzo – ed è per questo che, dopo un terremoto, siamo commossi dal salvataggio di una vita dalle macerie e non ci viene certo in mente di conteggiarne il costo o la convenienza. Inoltre, dopo sanguinose guerre di religione, oggi siamo finalmente giunti a considerare il pluralismo religioso come il frutto di “una sapiente volontà divina (…) da cui deriva il diritto alla libertà di credo” come affermato nel recente documento sulla “Fratellanza Umana” che promuove una convivenza pacifica tra le religioni secondo un paradigma di trascendenza “non posseduta”. Se analizziamo allora tali contrapposizioni più in profondità, ci accorgiamo che esse rivelano, in realtà, la fatica che facciamo a sostenere i problemi del tempo che abbiamo avuto in sorte di vivere. Infatti nella nostra contemporaneità – che ci piaccia o no – si stanno incrociando gli effetti di tre grandi squilibri del pianeta: a) le crescenti disuguaglianze economiche tra varie aree del mondo (nei primi soli quattro mesi del 2020 ben 3,7 milioni di persone sono morte di fame); b) i diversi tassi di crescita demografi ca tra Nord e Sud del pianeta c) l’impatto dei cambiamenti climatici sulle migrazioni ambientali. In tale contesto globale la cooperazione umanitaria svolta dalle ONG sopperisce alle carenze ed alle omissioni politiche degli stati nazionali e dell’Unione Europea che appaiono incapaci di elaborare soluzioni, efficaci e condivise, sullo stretto crinale politico attuale in cui si contendono sovranismo e interdipendenza. Gli stati europei dovrebbero innanzitutto riconoscere le proprie responsabilità storiche per lo sfruttamento coloniale. Quando riflettiamo sulle migrazioni, dovremmo rivedere le cartine dell’Africa dell’ultimo secolo a partire dalla Conferenza di Berlino del 1884 che Bismark organizzò proprio per “spartire” il continente tra gli appetiti delle litigiose potenze europee. L’Unione Europa poi dovrebbe elaborare una politica comune nei rapporti con l’Africa ma non è in grado di farlo per la prevalenza degli interessi degli stati nazionali – e delle relative multinazionali – nello sfruttamento delle risorse naturali tanto che, secondo gli intellettuali africani, lo slogan che dovremmo usare noi europei nei loro confronti, sarebbe: “aiutiamoci a casa loro”. Ma la pandemia ci ha ricordato, dolorosamente, che la casa è davvero “comune” perché i nostri beni più preziosi, come salute e sicurezza, sono indivisibili e collettivi perché non possono essere tutelati, efficacemente, solo in singoli stati o continenti ma richiedono una protezione comune. Come non rimaniamo sani a lungo se nella lontana Cina si sviluppa un virus, ancor meno possiamo sentirci al sicuro se la vicina Africa resta così povera di beni materiali e risorse educative da favorire la crescita del terrorismo. La cooperazione umanitaria, quindi, è un matrimonio necessario, d’amore ma anche di interesse. Tanti cristiani sono impegnati in tali interventi per la “maestà” del volto del povero descritta in Mt 25 ove il Signore dice “l’avete fatto a me”, trasferendo così nei bisognosi tutti la sua stessa signoria. Ma il lavoro che tante altre donne e uomini svolgono nelle ONG per migliorare sanità, scuole, e infrastrutture in continenti (apparentemente) lontani in realtà è fatto anche per il nostro stesso “interesse” perché nel mondo attuale stati e continenti sono interdipendenti l’uno dall’altro e “siamo tutti sulla stessa barca” come ci ha ricordato, efficacemente, Papa Francesco nella memorabile preghiera dalla piazza S Pietro deserta (e che vale anche per il dopo pandemia).
Andrea Ballestrazzi
Presidente HO AVUTO SETE
L’associazione Ho avuto sete segue con attenzione la situazione della Somalia essendo legata da amicizia e da progetti di collaborazione a mons. Giorgio Bertin, padovano e frate francescano, attuale vescovo di Gibuti e Amministratore apostolico di Mogadiscio (Somalia), intervenuto il 15 ottobre scorso a Modena ad un incontro sulla situazione nel corno d’Africa. La Somalia, ex protettorato e colonia italiana dal 1889 al 1941, è un paese dilaniato da una guerra, tutt’ora in corso, che dura da oltre trentacinque anni e mons. Bertin è divenuto amministratore apostolico di Mogadiscio dopo l’assassinio del precedente vescovo, Pietro Salvatore Colombo, ucciso dai terroristi il 9 Luglio 1989 all’uscita dalla cattedrale di Mogadiscio.