La lezione del Beato Focherini e l’impegno per la città Formazione, spiritualità e opere per il bene comune
Le celebrazioni in memoria del 75º del martirio Beato Focherini prevedevano un interessante momento di approfondimento sul ruolo dei cattolici nella vita pubblica. Un tema reso urgente dall’attuale contingenza politica ma anche un invito alla comunità diocesana – il laicato in particolare – a mantenere viva la riflessione e l’impegno per il bene comune, in questi mesi richiamato frequentemente da Papa Francesco, dal presidente della CEI, cardinal Bassetti, e non da ultimo dal Vescovo Castellucci Erio nella lettera pastorale indirizzata alla Diocesi di Carpi. La fede non può non essere politica nel senso più pieno che tale termine porta con sé. Comprendo che una dichiarazione così perentoria possa destare sconcerto in un oggi nel quale la politica e un qualsivoglia tentativo di azione strutturata per il bene comune appaiono svilite, persino inutili se non ritenute addirittura dannose. Ma una comunità credente che vive la fede nelle opere non può non prendersi cura del bene comune, cifra sintetica dell’agire politico, un noi di persone che esercita la carità con l’aiuto solidale e di prossimità, e al contempo con l’impegno a superare le cause che generano ingiustizie, disuguaglianze, sfruttamento e devastazione dell’ambiente naturale. Non è una fede accartocciata su se stessa, centrata sulla propria persona alla ricerca di una salvezza in “solitaria”. La nostra fede vive il mistero della incarnazione nel tempo che ci è dato, è la partecipazione all’opera quotidiana generata dall’azione di Gesù per una città più fraterna e per scovare i tanti germogli di senape presenti già in mezzo a noi e che attendono di essere riconosciuti. Il celebre testo A Diogneto del secondo secolo racconta lo stile, i tratti della presenza dei cristiani nella città in un tempo molto simile al nostro. Ma come possiamo vivere oggi l’impegno per il bene comune nelle istituzioni, nella società civile, nell’economia, in tutti gli ambiti nei quali si manifesta la vita di una comunità? Il dibattito è in corso, un confronto vivace accompagnato dalla stesura di numerosi manifesti, agende e proposte animate frequentemente da persone che si dichiarano cattoliche. I contenuti mi paiono chiari e condivisibili, manca a mio parere una strategia, la definizione di un percorso, una traccia operosa. Propongo alcuni pensieri. Abbiamo bisogno di una profonda spiritualità e una formazione solida. San Pietro lo ricorda nella sua lettera: “Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto…”. Rendere conto: significa proporre la propria visione con una capacità argomentativa solida e ben strutturata e non come spesso accade con l’elencazione di principi, valori e slogan. Piuttosto è la faticosa testimonianza, argomentata con intelligenza, realistica e praticabile, di un’opera di bene comune. Non è una dichiarazione dall’alto del monte (ricordate negli Atti il racconto dell’Ascensione quando i due angeli invitano i discepoli a non guardare su nel cielo ma a tornare nella città?), ma la ricerca gioiosa, talvolta affannosa e tribolata, del maggior bene possibile con azioni e gesti concreti condivisi per quanto possibile da un gran numero di persone. Progetti “schierati”, che partono cioè da una visione non teorica ma praticata e vissuta della Parola. Parlavamo di formazione. Ecco la Dottrina sociale, un incredibile patrimonio maturato dalle comunità cristiane nella storia e nell’ascolto fedele del messaggio evangelico. Va presa per intero e non a spizzichi e bocconi o a uso e consumo per perorare cause strumentali e ideologiche. Va conosciuta e compresa nella sua architettura, direi che va “masticata”, evitando l’inutile contrapposizione tra “i cattolici della morale” e i “cattolici del sociale”, agitata per animare un misero e scadente dibattito politico. La difesa della vita vale sempre, all’inizio, in mezzo e alla fine, come pure l’impegno per la pace e la solidarietà, la giustizia sociale e la pratica del principio di sussidiarietà. Insomma non si può amare il fine senza avventurarsi nell’appassionata ricerca dei sentieri che aiutano a praticare questi orientamenti nella città: la difesa della vita, un lavoro degno per tutti, la riduzione delle disuguaglianze sempre più scandalose, la transizione ecologica e la difesa della natura, l’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale fanno parte del medesimo pacchetto, non sono temi avulsi dalla vita di un credente. Occorre riproporre esperimenti di confronto e di discernimento critico, operare una tessitura paziente dal basso e che accetta i tempi giusti: la ricerca del bene comune così come la politica sono un’arte pratica, si misurano sulle azioni non sulle dichiarazioni di principio.
Edoardo Patriarca