La malattia inesorabile e la forza di Claudio Lodi
Inguaribile voglia di vivere Editoriale
Claudio di compleanni con la SLA, come a lui piaceva dire, ne aveva “festeggiati” otto. Usava questo termine perché era un modo per non subire la malattia e avere il controllo su di essa e come diceva: “Qualcuno la chiama voglia di vivere”. “Lasciarsi morire significa abdicare, lasciarsi trascinare dalla corrente, non fare nulla. Solo aspettare la morte, morire un po’ ogni giorno, lentamente. Ma è tutto qui? Gettare al vento la famiglia, l’amore, gli amici, la fede? È questo che vuole il Signore da me? Io credo di no. Io credo che il Signore si aspetti da me, da noi, che lottiamo per la vita”. Così scriveva Claudio in una sua testimonianza. Difficile pensare alla voglia di vivere quando si è costretti in un letto e peggio ancora trovarsi nell’impossibilità ad esprimere le proprie emozioni, i propri pensieri e persino un gesto d’amore, ma anche in questo Claudio trovava un lato positivo. Avere una comunicazione molto limitata lo aveva fatto diventare un buon ascoltatore e, nella sua fragilità, la vita l’ha amata davvero tanto e l’ha amata come Gesù ci ha insegnato: amando la sua famiglia, gli amici e donandosi agli altri. Qualcuno potrebbe obiettare: come può una persona in quelle condizioni donarsi agli altri? Claudio aveva innanzi tutto imparato a non pesare sugli altri, certo fisicamente aveva bisogno ma nonostante la sua condizione sapeva trasmettere ottimismo e persino serenità. Non l’ho mai visto o sentito lamentarsi od imprecare, era sempre lui il primo a scrivere sul tablet: “come stai?”. Era ironico e stava allo scherzo, sapeva trovare ogni occasione per festeggiare: un compleanno, una festività, un esame universitario andato a buon fine… oppure lo si poteva incontrare al bar di via don Albertario, con badanti e carrozzina in compagnia di amici pronto ad offrire il caffè. I nipotini si arrampicavano sulla carrozzina, per nulla imbarazzati della sua malattia e i suoi ragazzi, Elisa e Gabriele, mai tristi ma entusiasti, anche se a volte un po’ preoccupati, per tutte le iniziative e i progetti a cui si dedicava: l’iscrizione all’università, la visita all’Expo di Milano, l’incontro con Papa Francesco, la messa insieme ai carcerati di Reggio Emilia, la discussione della tesi di laurea e i vari viaggi (con tutte le difficoltà del caso) per portare, dove necessario, la sua testimonianza d’amore e di speranza. Quale modo migliore di donarsi agli altri? Gli piaceva pensare che “noi fragili siamo dei catalizzatori che possiamo portare, col nostro esempio, un messaggio positivo ai giovani” e in questo modo ha saputo dare valore anche a ciò che apparentemente era una sconfitta e farci comprendere che si può ricominciare senza che il valore e la dignità ne vengano intaccati. Parlando della fede qualcuno gli aveva chiesto se era in collera con Dio. La risposta è stata un no deciso, anzi proprio nella malattia aveva sentito il bisogno di riavvicinarsi alla fede: “Dopo molti anni mi sono confessato ed ho fatto la comunione. Ora mi sento più sereno e preparato… Io ho paura di morire… e per sconfiggere la paura della morte mi sono ricordato del motto degli scout ‘be prepared’, che significa ‘siate preparati’ ed io mi sono preparato come meglio potevo”. Ci mancherai Claudio ma non ci sposeremo al dolore, ci consola la certezza che il Signore ti avrà accolto tra le sue braccia amorevoli. “Nel tempo giusto la speranza s’innalza da tutti i luoghi soggetti alla morte – la speranza ne è il contrappeso, in essa il mondo che muore, di nuovo rivela la vita” (San Giovanni Paolo II). Così la tua morte continuerà a rivelarci quella vita che tu hai tanto amato e, come te, anche noi potremo dire “Io scelgo comunque la vita”.
Rosa Coppola