Tra crisi spirituale e bisogni materiali
Tendi la mano al povero
Preghiera a Dio e solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Ogni anno, con la Giornata Mondiale dei Poveri, si torna su questa realtà fondamentale per la vita della Chiesa, perché i poveri sono e saranno sempre con noi per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana. Quest’anno il messaggio offerto alla nostra riflessione, dal titolo “Tendi la mano al povero”, trae spunto dal testo del Siracide (Sir 7,32) ed entra direttamente nel drammatico momento che il mondo intero sta vivendo a causa del Covid-19, che ci porta a constatare come sempre più famiglie e persone si ritrovino in difficoltà economica e fatichino a pagare le bollette, a mantenere fede alle rate del mutuo o al pagamento dell’affitto, talvolta anche a trovare i soldi per la spesa. Nel Siracide troviamo le parole di un maestro, in cerca di quella sapienza capace di scrutare a fondo le vicende della vita e di rendere gli uomini migliori. Lo faceva, ci ricorda papa Francesco, in un momento di dura prova del popolo di Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere. Gli interrogativi che si poneva l’autore del testo biblico sono gli stessi che hanno segnato la vita di milioni di persone in questi mesi di coronavirus: la malattia, il lutto, l’incertezza della scienza, il dolore, la mancanza delle libertà a cui si è abituati, la tristezza di non poter dare l’ultimo saluto alle persone a cui si vuole bene… Se da un lato durante la pandemia la preghiera si è fatta più insistente e il pensiero a Dio ha sfiorato la mente di tante persone in altri tempi indifferenti (come testimoniato dalla massiccia partecipazione alle diverse manifestazioni liturgiche) e l’autore sacro insiste sul fatto che nel disagio bisogna avere fiducia in Dio, dall’altro il libro del Siracide non permette di fermarsi alla preghiera; anzi, afferma che per avere una preghiera che sia degna ed efficace è necessaria l’attenzione a quanti sono nella povertà. Lo afferma senza attenuanti Papa Francesco quando scrive: “La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il dono della benedizione divina, attirata dalla generosità praticata nei confronti del povero” (n. 2). Il tema della “immagine di Dio” impressa sul volto del povero è estremamente significativa perché obbliga a non volgere lo sguardo altrove quando si desidera vivere un’esistenza pienamente cristiana. In questo senso, la metafora del “tendere la mano” acquista la sua valenza più profonda perché obbliga a ritornare alle parole del Signore che ha voluto identificarsi con quanti mancano del necessario e vivono condizioni di emarginazione sociale ed esistenziale. Il Messaggio esemplifica diverse situazioni che in questi mesi di pandemia hanno visto una mano tesa e che sono impresse nella mente di tutti: “La mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. […] La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione” (n. 6). A questo segno di grande umanità e responsabilità, Papa Francesco contrappone l’immagine di quanti continuano a tenere le “mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici” (n. 9). L’elenco è fortunatamente più breve a testimonianza che il bene è sempre di gran lunga superiore all’avidità di pochi, ma è comunque sufficiente per mostrare quanta mancanza di responsabilità sociale sia ancora presente nel mondo di oggi con la conseguenza di estreme sacche di povertà che si accrescono a dismisura. La mano tesa, dunque, è un invito ad assumersi la responsabilità di dare il proprio contributo attraverso gesti di vita quotidiana per aiutare quanti vivono nel disagio e mancano della dignità di figli di Dio. Papa Francesco non ha timore di identificare queste persone come dei veri santi, “quelli della porta accanto” che con semplicità, senza rumore e pubblicità offrono la genuina testimonianza dell’amore cristiano. La presenza di tanti volti di poveri richiede che i cristiani siano sempre in prima linea, e siano consapevoli che manca loro qualcosa di essenziale nel momento in cui un povero si presenta dinanzi. “Non possiamo sentirci ‘a posto’ quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra” (n. 4), scrive Papa Francesco. È come se ci invitasse a rimanere “inquieti” fino a quando non si è trovato Dio impresso nel volto del povero. Come sempre, dunque, una realtà di crisi può costituire anche, con la grazia di Dio e l’impegno degli uomini, occasione di crescita. Per molti versi, l’immagine del tendesti re la mano richiama da vicino il logo che fin dall’inizio di questa iniziativa di Papa Francesco accompagna la Giornata Mondiale dei Poveri. Le mani tese sono quelle di due persone: una sta sulla soglia di casa, l’altra attende. Chi è il povero e chi quello che aiuta? Durante la pandemia abbiamo visto invertirsi le posizioni tra chi è in casa ad attendere e chi fuori a tendere la mano, perché sono stati i volontari ad andare nelle case anziché attenderli stando “dentro”. Il richiamo è forte perché evoca quanto ambedue abbiano bisogno l’una dell’altra. La mano tesa del povero chiede, ma invita l’altro a uscire da se stesso per spezzare il cerchio di egoismo che avvolge tutti. Tutti sentiamo il bisogno di una mano tesa, tutti sperimentiamo povertà e fragilità. Nello stesso tempo tutti comprendiamo che possiamo essere portatori di speranza per gli altri.
Sr. Maria Bottura
Direttrice Caritas Diocesana – Carpi