Leggere, studiare, capire la dottrina sociale della chiesa
La buona Responsabilità
“La dottrina sociale della chiesa… se solo questa venisse, letta, studiata, capita da chi poi si prodiga in tali veementi, infondate critiche”. E’ un passaggio del libro “Benedetta povertà” scritto dal vescovo Erio Castellucci, laddove, a fronte delle critiche ricevute da Papa Francesco in merito alle considerazioni sulla proprietà privata contenute nell’enciclica Fratelli tutti, l’autore ribadisce come il tema “destinazione universale dei beni” sia un “valore cardine” della dottrina sociale (Compendio della dottrina sociale della chiesa, n. 171-184). L’incisiva sottolineatura di Castellucci circa la necessità di leggere, studiare e capire il patrimonio rappresentato dal magistero sociale della chiesa emerge in tutta la sua urgenza ogniqualvolta si è chiamati ad esprimere valutazioni e giudizi sulle vicende socio-politiche o sui pronunciamenti “sociali” del Papa e dei Vescovi. Ne abbiamo avuto un esempio in questi giorni animati dalla crisi politica nazionale, dove ormai anche tra i cattolici, pare che il dibattito si sia inclinato verso il basso, modello talk show, esasperando le personalizzazioni, per non parlare di chi quasi antepone alla sequela di Gesù Cristo quella del leader preferito e con pari veemenza si scaglia contro gli altri non a lui affini e graditi. Un quadro poco edificante, dove anziché affrontare il merito, in questo caso, un giudizio sull’operato dell’esecutivo basato su fatti ed evidenze, ci si sofferma su questioni di metodo e di opportunità come la crisi in tempo di pandemia, la stabilità del governo, ecc…. Quando, se non ora, in un tempo così grave dove ogni decisione pesa sulla vita privata, pubblica ed economica di un intero popolo, i politici sono chiamati ad assumersi pesanti responsabilità per l’oggi e per il domani? E si pensa che questa assunzione di enormi responsabilità possa essere esente da confronto e dibattito in nome di un non ben precisato principio di sopravvivenza di un esecutivo come se questo da solo fosse la sostanza della politica e la soluzione dei problemi? E’ ancora la dottrina sociale della chiesa che ci viene in aiuto: “Il popolo, in varie forme, trasferisce l’esercizio della sua sovranità a coloro che liberamente elegge suoi rappresentanti, ma conserva la facoltà di farla valere nel controllo dell’operato dei governanti e anche nella loro sostituzione, qualora essi non adempiano in maniera soddisfacente alle loro funzioni” (n. 395). Ancora poco più avanti: “Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell’impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali” (n. 410). Quindi una “autorità responsabile” è quella che si confronta, legittimamente, nel rispetto delle regole parlamentari e democratiche, ma poi risponde con altrettanta celerità e trasparenza per “operare il bene comune e non il prestigio o l’acquisizione di vantaggi personali” (n. 410). Anche una crisi di governo se affrontata con responsabilità e consapevolezza per arrivare ad una situazione migliore della precedente e soprattutto che si risolva in tempi rapidi, può essere utile. Le regole parlamentari lo consentono senza necessariamente arrivare al voto anticipatamente. Questo deficit di conoscenza della “dottrina sociale” viene certificato anche da un recente studio promosso dalla Fondazione Lazzati confluito in un volume dal titolo “Aprire percorsi. Per un impegno da giovani credenti in politica” (In Dialogo 2020). A fronte della constatazione che, su uno scenario nazionale, nei pochi percorsi promossi da diocesi, parrocchie e associazioni il tema dell’impegno politico e sociale pare sia quasi scomparso dall’agenda, si pone allora l’urgenza di ridestarle dal torpore e dall’inattività degli ultimi tempi. “Vanno responsabilizzate, – come scrive uno dei curatori – affinché la formazione socio-politica non venga tralasciata, ma ripensata e riproposta in forme nuove, che sappiano educare al confronto e al dialogo, all’ascolto profondo delle situazioni, a un discernimento reale sulle decisioni importanti da prendere”. E’ l’unica via per tornare a formare cattolici che adottano come stile l’et-et e non l’aut-aut, come ci ricorda Castellucci sempre nell’opera citata in apertura, perché la divisione, specie se su basi ideologiche, “non stupisce però addolora. La divisione toglie forza interiore all’evangelizzazione”. E di questi tempi la chiesa non se lo può permettere.
Luigi Lamma