Di fronte all’aumento dei contagi e all’inevitabile classificazione in “zona rossa” per la provincia di Modena e per quasi tutta l’Emilia-Romagna, ad un anno di distanza dall’esordio dell’epidemia, sono comprensibili reazioni di frustrazione e di ulteriore preoccupazione per tutte le conseguenze sul piano economico e sociale. “La speranza sono i vaccini…”, “occorre fare presto…”, “la priorità del governo è il piano vaccinazioni…”, ecc. sono gli slogan che rimbalzano in modo ormai ossessivo dai giornali alle radio, dalla tv ai social. La graduale disponibilità della materia prima (i vaccini) sta mettendo però alla prova la capacità organizzativa delle nostre istituzioni sanitarie che, contemporaneamente, devono fronteggiare l’avanzata dell’epidemia e impedire che gli ospedali raggiungano il collasso. Tornando al piano vaccinazioni la strada è ancora lunga: alla data del 5 marzo in Emilia-Romagna sono state vaccinate 150.287 persone (con due somministrazioni), si tratta per la maggior parte di personale socio-sanitario, anziani ospiti delle RSA e i primi over 85, in totale rappresentano il 3,37% della popolazione. La nostra regione è leggermente sopra la media nazionale (81,1% contro 78,9% al 6 marzo) nel rapporto tra dosi di vaccino ricevute e dosi effettivamente somministrate. E’ evidente che il piano deve subire una significativa accelerazione per arrivare ad una sufficiente copertura entro l’estate. Nel dibattito pubblico innescatosi sul tema “vaccini” sono stati messi in dubbio alcuni criteri adottati per l’arruolamento dei primi destinatari dell’immunizzazione. Tutti d’accordo per gli operatori sanitari ma poi sono arrivati i distinguo sull’opportunità di vaccinare gli anziani e i disabili in quanto non elementi utili al sistema produttivo. E’ “la cultura dello scarto” che emerge ogniqualvolta si deve condividere con la comunità un bene primario, in questo caso la salute personale e pubblica, e non lo si può accaparrare solo per se stessi come qualcuno vorrebbe. Sono invece condivisibili le scelte fino ad ora adottate, bene che in questi giorni anche le persone con disabilità che frequentano residenze e centri diurni siano sottoposti alla vaccinazione. Vaccinare i più vulnerabili è una scelta di civiltà e, non di meno, di tutela della salute di tutti, perché più un soggetto è fragile ed esposto all’infezione e più concorre alla diffusione del virus.
Non c’è bisogno di ricordare qui le decine di anziani ospiti nelle RSA venuti a mancare in questo ultimo anno. Dove purtroppo questo criterio di equità non viene ancora adottato è su scala planetaria. Un recente rapporto della Federazione internazionale della Croce Rossa – Mezza Luna Rossa (FICR) quasi il 70% delle dosi di vaccino somministrate finora si è verificato nei 50 paesi più ricchi del mondo. Al contrario, solo lo 0,1% delle dosi di vaccino sono state somministrate nei 50 paesi più poveri. L’FIRC avverte che questa disuguaglianza è allarmante e potrebbe potenzialmente avere un effetto devastante sul tasso di mortalità. Una situazione ingiusta sul piano etico ma ancor più allarmante sul piano sanitario perché potrebbe prolungare o addirittura peggiorare la diffusione della pandemia attraverso varianti che possono mettere in pericolo anche coloro che sono già vaccinati. Sulla necessità di un equo accesso al vaccino Papa Francesco e la Chiesa continuano a sostenere una posizione netta perché non si possono mettere le “leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità. Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi”. Una sfida aperta sul fronte dei brevetti che alcuni Paesi del sud del mondo come India e Sudafrica hanno già lanciato nelle sedi internazionali dove si prospetta una dura battaglia.