‘Famiglia e malattia’ è questo il tema proposto dalla Cei per
Don Renzo Catellani
Il ricovero in ospedale pertanto diventa un’esperienza più diffusa e forse anche utile sia per il malato che la sua famiglia.
Il malato avverte il distacco dall’ambiente famigliare con le sue inevitabili rinunce e apprezza sempre più il tesoro della famiglia. La famiglia a sua volta sente la mancanza di un persona come l’assenza di uno strumento nel concerto familiare. C’è poi il collegamento col malato all’ospedale. Se si tratta di qualche breve visita o di qualche ora di assistenza, la famiglia può provvedere. Ma se la degenza è lunga, è necessario ricorrere ad assistenti ausiliari (badanti). Il collegamento con la famiglia però resta sempre importante. Oggi per questo serve anche il telefonino: ma non basta. Talvolta il malato, che si trova in corsia con altri pazienti, confronta la sollecitudine dei diversi familiari, e nota qualche caso di apparente abbandono, come pure altri casi di fedeltà esemplare e quasi eroica.
In questi ultimi anni, anche per motivi economici, gli ospedali cercano di accorciare le degenze. I malati vengono dimessi come convalescenti quando hanno ancora bisogno di assistenza, tornano in famiglia, ma in casa talvolta non c’è nessuno: chi deve assentarsi per lavoro, chi per la scuola, chi per impegni. Anche qui allora occorre assumere un assistente ausiliario.
Se la situazione va per le lunghe, i familiari sono tentati di disinteressarsi sempre più del loro malato. Se è anziano gli fanno capire che non hanno tempo per lui. E’ meglio trasferirlo in una casa protetta. In questi ultimi tempi le Istituzioni per anziani sono sempre più numerose. Eppure ‘la struttura familiare rimane punto di ancoraggio e risorsa culturale per l’etica della dignità della persona, dell’equità e del servizio’ (Documento Cei).
Il malato e l’anziano che è ospitato in una casa protetta avverte la differenza tra persone che gli parlano, lo aiutano e lo servono per professione, ed i famigliari che lo assistono perché lo amano e temono di perderlo: la loro presenza gli dà non solo sollievo nella sofferenza ma anche desiderio di vivere.
Del resto, nella visione cristiana della vita famigliare, la presenza del malato in famiglia può diventare un’ottima scuola di compassione e umanità, specialmente per le giovani generazioni.
Insieme alla famiglia, il malato sente la vicinanza della comunità cristiana a cui appartiene, la quale deve pure rivelarsi. Per la comunità parrocchiale la sollecitudine per i malati, presenti nelle famiglie, rappresenta una delle forme più eloquenti ed esemplari della carità cristiana.
Tra le iniziative che vengono suggerite per una valida pastorale dei malati ne ricordiamo alcune:
formare un piccolo gruppo che si interessa dei malati come un servizio tipicamente evangelico;
favorire un certo ‘interessamento fraterno’ per cui si chiedono notizie sulla salute, si formulano auguri, si offrono preghiere;
si propongono alcune forme di ‘piccolo servizio’ che sollevi in particolare le famiglie maggiormente provate.