Trecento persone hanno partecipato all’esperienza del pellegrinaggio a Roma: perché hanno scelto di andare?
Unacomunità che vuole continuare a camminare insieme. Presto il Giubileo della Speranza volgerà al termine. In diocesi, fra le tante proposte tutte ben realizzate, una in particolare ha coinvolto un numero significativo di persone: cinque viaggi, ogni volta di sessanta persone: il conto è presto fatto.
E’ stata pensata una forma nuova: ritrovarsi, prima di ogni partenza per un momento di ritiro, con la possibilità di aprirsi e mettere in comune le motivazioni profonde della propria scelta, attraverso due domande rivolte alle persone – ogni volta si sono riunite a piccoli gruppi – per potersi confidare più facilmente. Ecco su quali aspetti si è scelto di porre attenzione, con l’intento di permettere a tutti di andare in profondità nel rapporto. La prima domanda: perché hai scelto di compiere questo pellegrinaggio, cosa ti ha spinto? La seconda: che cosa ti aspetti da questa esperienza? Come per dire a se stessi: quali sentimenti, problemi, aspettative sto vivendo?
Dentro questo parlarsi apertamente abbiamo scoperto il valore più prezioso del nostro progetto: aprirsi, confidarsi, condividere esperienze profonde di vita. Poi di desideri e di attese.
Molti hanno parlato del bisogno di una più vita interiore più ricca, di problemi e situazioni da affrontare e risolvere dentro di sé. Altri hanno sottolineato l’utilità di avere una guida, un accompagnamento per riuscire a dare un valore aggiunto, completo alla sacralità del Giubileo e perché il loro partecipare non si fermasse alla sola dimensione di un semplice viaggio a Roma.
Presente in più persone la convinzione ed il desiderio di incontrare, anzi immergersi nel cuore della Chiesa, nel suo Centro universale, dove abita Pietro e la Chiesa si raccoglie in unità.
Da tutti è stato fatto notare che questo raccontarsi l’un l’altro, pur semplice nella forma, ha cambiato la qualità della partecipazione: ci siamo sentiti non più singoli pellegrini,pur con motivazioni comuni, ma un corpo che cammina insieme, respira insieme. Si interroga e prega insieme.
Questa coscienza è stata arricchita, nei pellegrinaggi fino ad ora eseguiti, da una guida che aveva nelle parole e nei gesti – in mezzo alle innumerevoli spiegazioni storiche ed artistiche – la sapienza della vita cristiana. La guida: una presenza preziosa a cui più di un pellegrino si è rivolto con gratitudine e confidenza.
Ultima pagina dopo ogni pellegrinaggio: ritrovarsi di nuovo, come un secondo ritiro, per condividere le emozioni profonde, quelle dello spirito, e le scelte concrete, gli atteggiamenti nuovi, come suggeriva il dépliant consegnato alla partenza, dove si elencavano una dozzina di proposte per un rinnovamento continuativo della propria vita, secondo le indicazioni delle opere di misericordia spirituali e corporali insegnate da sempre dalla Chiesa.
Si dovrebbe raccontare della scelta, avvertita come bisogno da tanti, di una vita di preghiera più intensa; poi di dover compiere gesti di riconciliazione; ed anche di dover scegliere ora uno stile più sobrio nell’uso dei propri beni per avere sempre qualcosa da donare. Non è mancato chi ha parlato di aver avvertito il bisogno di assumere un impegno nella carità con il vicinato o con persone anziane e sofferenti. Questo narrare i frutti del Giubileo potrebbe essere un altro capitolo per dire coralmente e nella concretezza l’importanza per il dono del Giubileo.
Don Carlo Malavasi