Il 19 settembre inizia la mostra che ha, fra le sue sedi, il Museo diocesano: ad introdurla è uno dei curatori, il professor Brunetto Salvarani
di Virginia Panzani
L’allestimento della mostra “La Bibbia. Libro assente e ritrovato. Percorsi all’incrocio tra spiritualità e culture” presso il Museo diocesano – chiesa di Sant’Ignazio a Carpi (corso Fanti 44) è stato curato dal teologo Brunetto Salvarani e da monsignor Gildo Manicardi, vicario generale della Diocesi di Carpi e biblista. Da quello che il professor Salvarani definisce come un proprio “pallino”, un progetto a lungo sognato e meditato, è nata l’iniziativa che prenderà il via venerdì 19 settembre, nell’ambito del festivalfilosofia, per poi proseguire fino al prossimo 11 gennaio. “Da anni mi è capitato e mi capita di riflettere sulla Bibbia da non biblista – io infatti non sono un biblista, cosa che invece è l’altro curatore, don Gildo Manicardi – afferma Salvarani -, ma soprattutto di riflettere sulle conseguenze che l’analfabetismo biblico, il fatto di non conoscere la Bibbia, produce in una società. Io ritengo che questo crei, per così dire, dei problemi, cioè sia la causa di effetti non solo a livello culturale ma anche sociale. L’analfabetismo biblico, insomma, non ci aiuta a stare dentro il nostro territorio, la nostra storia, geografia, e cultura”.

ph Calvarese/SIR – Brunetto Salvarani
Professor Salvarani, come questo progetto, che, come ha detto lei, è da tanto tempo un suo “pallino” ha iniziato a concretizzarsi? E quale accoglienza ha ricevuto dalle istituzioni a cui si è rivolto?
Era da parecchio che cercavo di lavorarci e così, in maniera un po’ casuale, ne ho parlato con Odo Semellini, un amico che è funzionario dell’assessorato alla cultura del Comune di Carpi e col quale da anni realizzo varie cose, tra cui libri, mostre, interventi, iniziative e così via. Da questi dialoghi ci è venuta l’idea di proporre il progetto alle due istituzioni che sentivamo come necessarie ad un’impresa del genere, non certo facile. Così ci siamo rivolti al Comune di Carpi, c’era ancora il sindaco Alberto Bellelli all’epoca – quindi la preparazione ha richiesto più di un anno – e a don Gildo Manicardi come vicario generale della Diocesi. Devo dire che abbiamo trovato molta attenzione e sensibilità, anche se si è posta subito una serie di problemi tra cui quello di reperire fondi. E’ stato l’aspetto meno facile, c’è da dirlo con franchezza, perché tutti dicono, a parole, che la Bibbia è importante, ma poi forse finisce un po’ in secondo piano quando valorizzarla richiede sforzi di una certa consistenza. Ciononostante, siamo riusciti ad arrivare alla fine dell’“impresa”, e questo mi sembra il segnale più significativo.
La domanda che le rivolgo ora richiederebbe una risposta ampia ed articolata, però, in sintesi, può dirci perché la Bibbia è poco conosciuta oggi, anche e soprattutto nel panorama italiano?
La Bibbia è poco conosciuta in Italia perché noi siamo figli del Concilio di Trento, che si tenne dal 1545 al 1563. E’ il momento in cui la paura di ciò che sta succedendo in Germania, cioè l’irruzione di Martin Lutero negli scenari europei, fa sì che l’identità cattolica punti a differenziarsi da quella protestante, che allora voleva dire sola Scrittura, come diceva lo stesso Lutero, quindi un cristianesimo basato sull’adesione alla Bibbia “alla lettera”. Avviene, di conseguenza, ciò che non tutti sanno e che spesso colpisce: cioè che la Bibbia in volgare, cioè la Bibbia in italiano, per molti secoli non si possa leggere e che in Italia, ma anche nei Paesi cattolici, la versione nella lingua, per così dire, del popolo venga messa all’indice dei libri proibiti. Ecco, quindi, lo scenario da cui deriva il fatto che noi non abbiamo una cultura biblica diffusa, come per esempio in Germania o in altri Paesi europei di matrice evangelica.
Ma perché, detto in poche parole, la Bibbia è così importante, come ci invita a riflettere la mostra?
Perché, in realtà, la Bibbia non è solo un libro sacro, il libro della liturgia, il libro dell’identità cristiana più profonda, ma è anche il codice che ci permette di capire la cultura nella quale siamo immersi, ci permette di capire tantissimi aspetti, basti pensare ai modi di dire, alla cultura diffusa, all’arte, alla filosofi a, alla musica. Io dico, per esempio, che il repertorio di Johann Sebastian Bach e “La buona novella” di Fabrizio De André senza la Bibbia sarebbero entrambi del tutto incomprensibili. Non parliamo, poi, della letteratura perché il discorso è abbastanza ovvio. Quindi la Bibbia ci permette di capire chi siamo stati, chi siamo e anche chi saremo o chi potremmo essere.
Dal suo punto di vista, quello di uno dei curatori della mostra, che cosa vorrebbe che questa iniziativa suscitasse nei visitatori?
Naturalmente il primo obiettivo sarebbe che qualcuno, vedendo una tela, guardando un riferimento cinematografico, come il “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, ascoltando brani de “La buona novella” di De André, cose che si potranno fare in mostra, tornando a casa, prendesse in mano la Bibbia, o la “rispolverasse”, se per caso è un po’ di tempo che non la tocca, e si mettesse a leggerla. Dunque, il primo auspicio è che la mostra favorisca la lettura della Bibbia, ma io direi, accanto a questo, che favorisca la discussione sulla Bibbia, quindi la riflessione su quanto la Bibbia sia stata importante nella cultura europea, nella cultura occidentale, come abbiamo accennato poc’anzi, e quanto paghiamo oggi a causa dell’analfabetismo biblico. Quanto ci manchi questa conoscenza per capire dove siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. Poi, ovviamente, si spera che venga tanta gente, e in particolare le scuole, che cercheremo di coinvolgere con progetti specifici.