Testo delle letture effettuate da Agnese la sera del 17 settembre 2022 nel contesto della mostra Emozioni per generare il cambiamento.
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Prima lettura svoltasi ieri, 17 settembre 2022, alle ore 21 presso il Museo Diocesano, in occasione del Festivalfilosofia 2022, all’interno della mostra ispirata all’enciclica “Laudato si’” – “Emozioni per generare il cambiamento. Per una giustizia ecologica”.
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Genesi, Capitolo 1
In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre
ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!».
E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò
la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».
Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che
son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia
l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E
Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che
producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno
secondo la sua specie». E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono
seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme,
secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte;
servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel
firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci
grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e
le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare
giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu
sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti
al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che
guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo
la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e
moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu
sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e
bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche
secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo
secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: «Facciamo l’uomo
a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del
cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla
terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina
li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;
soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere
vivente, che striscia sulla terra». Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce
seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno
il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri
che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così
avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu
mattina: sesto giorno.
San Francesco
«Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni
benedizione.
A te solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionarti.
Lodato sii, mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente per il signor fratello
sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce. E lui è bello e raggiante
con grande splendore: te, o Altissimo, simboleggia.
Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, chiare
preziose e belle.
Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; per quello nuvoloso
e per quello sereno, per ogni stagione tramite la quale alle creature dai vita.
Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e
pura.
Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. Egli è
bello, giocondo, robusto e forte.
Lodato sii mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento e ci
mantiene: produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba.
Lodato sii mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore, e sopportano
malattie e sofferenze.
Beati quelli che le sopporteranno serenamente, perché dall’Altissimo saranno premiati.
Lodato sii mio Signore per la nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun essere
umano può scappare, guai a quelli che moriranno mentre sono in peccato mortale.
Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. In questo
caso la morte spirituale non procurerà loro alcun male.
Lodate e benedite il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.»
E della Natura
tu,
uomo,
cosa ricordi?
Parlami della tua vita,
Di com’era
Quando camminavi scalzo
Nella rugiada del mattino
Fai udire alle mie orecchie
Il suono di un sorriso
Ripensando
Al colore dei frutti
Che colorava le albe in cielo
E a quelli che sembravano
Incendi all’orizzonte
Prima del buio
Parlami delle volte
Che hai provato a correre
Verso quel fuoco,
Ma ti sei perso
A guardare le stelle
Ascoltando il canto
Dei grilli
Parlami,
Uomo,
Di quando il passare
Del Tempo
Era un concetto
vago e indefinito
Dimmi,
Tu che mi guardi da questo specchio,
Che un giorno ricorderai
Questo viaggio
A ritrovar te stesso.
Il vento ti accarezza le ali.
Come una ruvida mano
imprime una carezza,
piena di forza e tenerezza
Il becco al centro del sole
come un bersaglio
all’orizzonte,
che annega a poco a poco,
in un mare sconosciuto,
di cui un tempo,
un gabbiano ti ha parlato
Il crepuscolo sta rubando,
come ogni sera,
il mondo che guardi dall’alto,
che par così lontano,
da pensare ogni giorno
di non farvi ritorno
Ma un nido ti aspetta,
fra il frusciare
d’alte foglie e rami
come lento ondeggiar di velieri
il mare a sfidare
Ma oggi la tua casa,
dalla quale ci osservavi,
giace a terra in frantumi
Fra lacrime odorose
di un tronco reciso,
sotto l’offeso
agonizzante fogliame
Il tuo acuto stridio
e pazzo volteggiare
lancia l’ultimo addio
all’abbattuto gigante,
Vittima di quell’Uomo dal cuore mancante.
Dialogo di un islandese e della natura
Natura. Credevi forse che il mondo fosse stato fatto per voi? Sia chiaro che io mi
occupo ben poco di voi, nel creare e dare ordine alle mie opere, e che miro a tutt’altro
che alla felicità o infelicità degli uomini. Quando vi molesto, in qualunque modo e con
qualunque mezzo accada, io neppure me ne accorgo, se non rarissime volte. Lo stesso
quando vi procuro piacere o qualche beneficio, perché non agisco, come voi invece
credete, per darvi piacere o giovamento. Insomma, se anche mi capitasse di far
estinguere la vostra specie, io neppure me ne accorgerei.
Islandese. Mettiamo il caso che qualcuno mi invitasse di sua iniziativa a una sua villa,
con grande insistenza, e che io per compiacerlo vi andassi. E supponiamo che qui mi
fosse data come dimora una cella tutta malmessa e in rovina, dove fossi in continuo
pericolo di morte, umida, fetida, esposta al vento e alla pioggia. E supponiamo che
costui non solo non si prendesse la briga di intrattenermi con qualche passatempo o
comodità, ma che al contrario mi facesse somministrare solo il necessario a mantenermi
in vita. E che poi lasciasse che i suoi figli e famigliari mi offendessero, mi schernissero,
mi minacciassero e mi picchiassero. E che se io mi lamentassi con lui di questi
maltrattamenti egli mi rispondesse: forse che ho costruito questa villa per te? E pensi
forse che io tenga i miei figli e famigliari al tuo servizio? Ho ben altro a cui pensare che
ai tuoi piaceri e di metterti a tuo agio. Io gli risponderei: se non hai fatto questa villa per
me, potevi benissimo non invitarmi. Ma poiché spontaneamente hai insistito che io vi
dimorassi, non dovresti fare in modo che io, per quanto ti è possibile, ci viva per lo
meno senza tormenti e senza pericoli? Lo stesso dico ora. So bene che non hai creato il
mondo al servizio degli uomini. Credo piuttosto che tu l’abbia fatto espressamente per
tormentarli. Ora domando: ti ho forse chiesto di pormi in questo universo? O mi ci sono
introdotto con la violenza e contro la tua volontà?
Se di tua volontà e a mia insaputa, senza che io avessi la possibilità di rifiutarmi, tu
stessa mi hai collocato in questo tuo regno, non è forse compito tuo, se non di farmi
lieto e contento, almeno di impedire che io debba soffrire ed essere tormentato, e che il
vivervi non mi faccia del male? Questo dico di me, lo dico del genere umano e lo dico
degli altri esseri viventi e di ogni creatura.
Natura. Tu sembri dimenticare che la vita di questo universo è un perpetuo ciclo di
produzione e distruzione, inestricabilmente collegate tra di loro. Esse sono
indispensabili l’una per l’altra, ed entrambe sono necessarie per la conservazione del
mondo, che si dissolverebbe se una delle due venisse meno. Perciò sarebbe a suo danno
se in esso vi fosse un qualche essere esente dalla sofferenza.
Islandese. Questo è quel che dicono i filosofi. Ma poiché quel che viene distrutto soffre
e quello che distrugge non gode, e dopo poco finisce per essere distrutto anch’esso,
spiegami quel che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova questa
infelicissima vita dell’universo, conservata in virtù del male e della morte di tutte le
cose che lo compongono?
Si dice che, mentre stavano discutendo in tal modo, sopraggiungessero due leoni, così
magri e deperiti per la fame, che ebbero appena la forza di mangiare quell’Islandese.
Ottenutone un po’ di ristoro, camparono ancora per quel giorno. Secondo altri, che
negano questa circostanza, mentre l’Islandese parlava si levò un vento fortissimo, che
lo fece cadere a terra e gli edificò sopra un grandissimo mausoleo di sabbia. Lì sotto
egli si sarebbe disseccato perfettamente e sarebbe divenuto una bella mummia.
Ritrovato in seguito da alcuni viaggiatori, si troverebbe oggi collocato nel museo di non
so quale città d’Europa.
I FIUMI
Cotici il 16 agosto 1916
Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
ALZA LO SGUARDO
Alza lo sguardo
ed eleva i tuoi pensieri
al navigar delle nubi.
Lasciati inondare
dai raggi del sole
e vèstiti di luce.
Respira il silenzio
della notte più profonda
e calma le tue ansie.
Lasciati accarezzare dal vento
e la tua anima
purificata
si unirà
al canto universale
del creato.
LA PIOGGIA NEL PINETO.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.