Tutto “Per il Signore”
Cari fratelli e sorelle, siamo qui riuniti oggi, nello splendore della luce della Resurrezione di Cristo, per dare l’estremo saluto a don Ivo Silingardi. Con lui scompare un’altra incarnazione, se così posso dire, della figura del sacerdote carpigiano e un testimone oculare di quell’ immensa tragedia, che ha devastato uomini e nazioni, che è stata la Seconda Guerra Mondiale.
Ringrazio per la presenza i confratelli Vescovi e le Autorità civili e militari. Si uniscono spiritualmente alla nostra preghiera anche S.E Monsignor Staffieri e don Julian Carròn, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione.
L’Apostolo san Paolo nella prima lettura ci ha ricordato che ci sono due modi di vivere. Il primo: vivere-morire per se stessi; il secondo: vivere-morire per il Signore. Non esiste una morte neutrale. Che cosa significa vivere-morire per il Signore? E’ possibile rispondere a questo interrogativo solo alla luce della resurrezione di Cristo, il quale, visse e morì per esercitare il suo dominio sui morti e sui vivi. In altre parole, Gesù risorgendo ha vinto la morte, vive per sempre ed è quindi eternamente contemporaneo ad ogni uomo.
Vivere e morire per il Signore significa, allora, essere consapevoli che, Egli è presente sempre in ogni istante della vita, anche nel momento della morte. Anzi proprio in quel momento il Risorto ci prende sulle sue spalle e ci fa passare attraverso “la valle oscura” per condurci alla pienezza della luce (Ps 22). Chi non appartiene al Signore, a causa della sua incredulità, muore per se stesso, cioè nella solitudine.
Anche il brano di Vangelo ci aiuta a comprendere che cosa significa vivere per il Signore. In esso abbiamo ascoltato queste parole: In verità in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me. Vivere per il Signore significa riconoscere la sua presenza nei più piccoli dei fratelli. Si tratta, come abbiamo ascoltato, di un riconoscimento molto pratico e concreto: vestire chi è nudo, dare da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, accogliere chi è forestiero… Alla luce di questi testi biblici appare evidente che la presenza del Signore libera dall’ egoismo e porta a riconoscere che la vita appartiene a Lui. Un’appartenenza che non si risolve in una coercizione, ma in una relazione amicale.
Nel suo testamento spirituale don Ivo scrive: “Cristo è sempre stato amico affettuoso, con grande attenzione nei miei riguardi, sempre presente, con interventi soavi e forti e misteriosi. E’ stato il più grande e assoluto amico della mia vita”(2001). Un “amico” che ringrazia – sono sempre sue parole – per “avermi chiamato al sacerdozio, del quale non solo non sono mai stato pentito, ma sempre felice, contento, pienamente soddisfatto”. Si tratta di parole che esprimono il realismo del legame e dell’amicizia che ogni sacerdote, ma potrei aggiungere ogni cristiano, stringe con la persona di Cristo e dell’attrazione che sente nei suoi confronti.
Cari fratelli e sorelle è alla luce di questa esperienza così ricca e affettuosa con Cristo che è possibile leggere l’intensa e lunga attività apostolica di don Ivo. Infatti, chi è fedele a Dio che è divenuto uno di noi, chi ha conosciuto
l’amore di Cristo per l’uomo e la sua salvezza, non può, a sua volta, non essere ferito da ogni miseria umana e coltivare nel cuore una grande passione per il bene e la difesa dei diritti di ogni persona. La via della Chiesa, infatti, è l’uomo perché è Cristo.
Don Ivo ha accolto tutti con generosità e coraggio: i bambini come con gli adulti, i vicini alla Chiesa come i lontani, i ricchi come i poveri. Per soccorrere ed aiutare soprattutto i ragazzi e i giovani ed offrire loro una formazione umana, cristiana e professionale non ha esitato ad andare a bussare alle porte di chi aveva possibilità economiche, trovando appoggio e sostegno per le sue iniziative perché tutte a favore dei fratelli, soprattutto degli ultimi.
Tutto questo don Ivo l’ha vissuto non come libero battitore, ma in quanto membro del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Porto ancora nel cuore il colloquio avuto con lui mercoledì scorso, dopo la celebrazione della Messa Crismale. Allegro, arguto, con la battuta sempre pronta si è interessato alla mia persona e al mio viaggio ad Erbil, non nascondendo qualche preoccupazione.
In questi anni di episcopato nei colloqui privati e negli incontri pubblici emergeva quasi la necessità di riaffermare la sua comunione con il Vescovo. Non si stancava, infatti, di ripetermi e di ripetere quanto gli aveva detto San Pio da Petralcina: “Cosa dice il tuo Vescovo!” e che cosa lui diceva ai membri di Comunione e Liberazione: “Io ai ciellini ho sempre ripetuto le parole di don Giussani: niente senza il Vescovo perché senza la comunione con il vescovo non c’è comunione con Cristo”. Si tratta di parole che si commentano da sole e che costituiscono per tutti un richiamo all’unità e alla comunione nella Chiesa.
Cari fratelli e sorelle, ogni sacerdote depone nel cuore della propria Chiesa e della società un tesoro di testimonianza che arricchisce e fa vivere il nostro patrimonio umano e spirituale. Ringraziamo don Ivo per questo dono.
E poiché tutti sappiamo che quando iniziava a parlare era difficile togliergli la parola, lascio che sia lui a concludere questa omelia. Nel suo testamento, alla luce della resurrezione di Cristo, egli interpreta così la sua morte: “E parteciperò alle lodi solenni insieme alla moltitudine immensa degli eletti”.
“E Sarò Sacerdote in eterno! E qui non si trovano le parole idonee per descrivere la grandiosità che attendono i Ministri consacrati con il sacerdozio!”
“Signore Gesù, confido in Te! Confido proprio di essere immerso nella Verità eterna, in tutta la Verità, in ogni Verità.
Di godere nell’estasi della Bellezza immensa, di tutta la Bellezza, di ogni bellezza.
Di possedere la ricchezza divina, tutta la ricchezza, ogni ricchezza”.
+ Francesco Cavina