Caro prof. Franco, carissimi Chiara e Francesco, stimati concelebranti don Carlo e don Riccardo, assistenti diocesani dell’Azione cattolica, congiunti e amici tutti di Gianna,
— il rito delle esequie è sempre per tutti, oltre che l’estremo saluto alla persona defunta, anche un nostro sguardo personale al cielo. In questo momento così solenne e sentito, tutti cerchiamo di percepire qualcosa delle dimore celesti, del paradiso, della nostra speranza oltre la vita presente e la morte.
Ci sono molte dimore
I nostri occhi non possono spingersi dentro quella dimora. Anche Gesù – a dire il vero – è stato a questo proposito molto sobrio. Ha affermato soltanto che nella casa del Padre suo ci sono molte dimore. Il «molte» allude al fatto che la nostra dimora finale è del tutto nuova e diversa da quelle terrene, che sono attualmente le nostre, da noi ben conosciute.
Gesù ci ha da dato poi un’assicurazione veramente consolante, quella nella quale anche la nostra Gianna Focherini ha creduto e che, di conseguenza, i familiari hanno scelto come proclamazione evangelica delle esequie: «Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,2s).
Nella parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro, poi, Gesù ci ha fatto intravedere che i rapporti tra le persone non saranno cancellati: Lazzaro e il banchettatore si rapportano anche in cielo secondo quello che veramente sono stati in terra.
L’ingresso nel cielo della nostra carissima Gianna è stato finalmente l’incontro con papà Odoardo, che aveva appena intravisto, mentre piccolissima imparava le prime cose dell’esistenza e il papà si informava dei suoi progressi dal campo di concentramento di Fossoli. Gianna ha incontrato e sta incontrando la mamma Maria, con la quale hanno vissuto tanti anni anche di grossi vuoti e di segrete, lancinanti sofferenze. Adesso sono perfettamente consolate. E ci sono con loro anche le sorelle e i fratelli che hanno già raggiunto il loro cielo.
Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza
Cari amici, avete scelto delle letture coraggiose che spiegano bene come i cristiani debbano essere vere persone di speranza. Paolo dice ai Tessalonicesi, nella più antica delle sue lettere, quando ancora pensava che sarebbe stato in vita al ritorno del Figlio dell’uomo: «Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti» (1Ts 4,13-15).
Coloro che credono nella risurrezione di Gesù e nel suo ritorno, vivono già la vita terrena nella certezza che andranno incontro al Signore in alto, e così saranno per sempre con il Signore (cf. 1Ta 4,18).
I teologi e gli esegeti sottolineano che nel linguaggio di San Paolo la vita è distinta in due stadi: c’è la vita attuale e c’è l’essere con il Signore. Lo stadio presente, terreno e transitorio, è chiamato dall’Apostolo l’«essere nel Signore». È la situazione dei tralci che sono nella vite che è Cristo. Nella vite il tralcio porta vita e fruttifica grappoli solo se è nel vitigno. Essendo in Cristo, il pellegrino terreno può portare frutti che resteranno per sempre, può portare grappoli succosi anche la dove da solo il ceppo non arriverebbe.
La vita oltre la morte viene chiamata, invece, l’«essere con il Signore». In cielo noi saremo non soltanto innestati in Cristo, ma in dialogo con lui faccia a faccia. San Paolo non usa mai il singolare, parlando di un singolo cristiano che si trova col il Signore. Nelle sue lettere usa quest’espressione solo al plurale: «verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore» (1Ts 4,17).
Anche Gianna aveva sapeva bene che la speranza non è un sentimento individuale, ma si ottiene solo in circolarità e nella comunione con gli altri. Le parole di Gesù «Vado a prepararvi un posto» richiamavano a Gianna la comunione dei santi e il fatto che, chi è partito prima di noi, è in cielo e ci attende in quella dimora. Quante volte mamma Maria avrà detto alla piccola Gianna che cercava il papà: «lo sai già: è in cielo, è la che ci aspetta e da là ci segue e ci vuole bene». Il Beato Odoardo ci aspetta dal cielo, insieme a Maria, e adesso con Gianna e tanti altri. Là tutte le lacrime saranno asciugate dal Signore stesso e si chiarirà il mistero della vita e dei suoi dolori inestricabili.
Gianna riceveva volentieri la comunione In questa prospettiva comunitaria; la considerava la strada per arrivare alla santità di vita e alla comunione dei santi. L’ultima volta si è comunicata martedì non da sola, ma con un pezzetto di ostia condiviso con il marito Franco. Essere con il Signore insieme agli altri!
Gianna, nella sua vocazione di insegnante, è stata testimone di speranza per molti alunni, donando loro il ricordo della vita del suo papà. Con un’immagine più ardita potremmo dire Gianna, nella grazia del Signore e per quello che ha vissuto e sofferto è stata un po’ un battistrada della comunione del cielo.
La preghiera del Salmo 27(26)
Chiudiamo riprendendo qualche parola del Salmo responsoriale, Salmo 27(26). Mi pare che in alcune possiamo ascoltare la voce di Gianna, che vive con noi questa liturgia delle sue esequie. In altre possiamo vedere l’espressione della nostra speranza che continua sulla terra.
Ecco le parole che mi sembrano di Gianna:
7 Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
8b Il tuo volto, Signore, io cerco.9Non nascondermi il tuo volto,
Ed ecco le parole che possono esprimere il meglio della nostra speranza, la speranza di quell’assemblea che siamo noi:
13 Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
14 Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
Attiviamo allora la nostra speranza di essere un giorno con Gianna, con il Beato Odoardo, con Maria e tutti gli altri nostri fratelli. Diciamo: Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi e per sempre. I nostri morti non sono semplicemente dei morti, sono fratelli e sorelle che ormai vivono con il Signore. Non accettiamo mai l’errata e disperante “unidimensionalità” della morte.