Speranza si coniuga al plurale

Il vescovo Castellucci, insieme al professor Gherardi, all’incontro organizzato dalla parrocchia tra suggestioni bibliche e dantesche

di Virginia Panzani

Eragremita la sala della comunità in via Posta a Mirandola nella serata dello scorso 3 ottobre per l’incontro “Riflessioni sulla speranza tra la Bibbia e la Commedia di Dante”, organizzato dalla parrocchia di Mirandola e dalla Comunità Masci San Francesco, a cui sono intervenuti il vescovo Erio Castellucci e il professor Luca Gherardi, dantista e insegnante di lettere al liceo Morandi di Finale Emilia. A dimostrazione del grande interesse per il tema proposto, in sintonia con quello del Giubileo 2025, e della stima per i due relatori. Monsignor Castellucci ha esordito evidenziando come il contesto in cui si riflette oggi sul tema della speranza sia segnato da alcune gravi crisi concomitanti. Ne ha citate solo alcune, che comunque bastano a rendere la complessità del momento: crisi economico- finanziaria, crisi geopolitica, crisi migratoria, crisi ecologico-ambientale e crisi sanitaria – quest’ultima a partire dal covid. Il Vescovo ha tuttavia ricordato come i credenti in Cristo non possano accodarsi ai lamenti, alla rassegnazione, al “disarmo” e neppure limitarsi alle denunce. Da qui la prima delle citazioni del Nuovo Testamento su cui don Erio che ha accennato al fatto che nella Bibbia la parola speranza ricorre 136 volte, 80 nell’Antico Testamento e 56 nel Nuovo Testamento – si è soffermato. Ovvero l’esortazione espressa da San Pietro nella sua prima lettera: siate “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). La seconda citazione è tratta dalla lettera di San Paolo ai Romani: “la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). La speranza, ha sottolineato monsignor Castellucci, è strettamente legata all’amore, questo vale per i cristiani in quanto l’amore è quello di Dio, ma più in generale per tutti gli esseri umani, poiché la speranza, per non essere una semplice illusione, deve essere fondata sulla roccia dell’amore. Infatti, ha detto il Vescovo, “la speranza muore quando non ci sentiamo amati e quando non abbiamo più la prospettiva di amare. Finché c’è amore c’è speranza”. Al riguardo, ha voluto ricordare una splendida riflessiodentro ne di Etty Hillesum, intellettuale e scrittrice olandese di origine ebraica uccisa ad Auschwitz: di fronte alla tragedia immane della deportazione e dello sterminio del proprio popolo, Etty affermava che ciò che aiutava ad andare avanti era “la speranza di un abbraccio”. Infine, la terza citazione dal Nuovo Testamento, sempre dalla lettera di San Paolo ai Romani: “sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati” (Rm 8,22-24). Parole che, ha sottolineato monsignor Castellucci, sono come un “affondo cosmico”, poiché è come se la creazione vivesse la stessa speranza degli esseri umani: “l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco ci ricorda che siamo ad un cosmo che spera, ad una realtà ferita, la nostra ‘casa comune’ in cui ‘tutto è connesso’, che attende di essere guarita”. Ecco allora che la speranza non può essere contenuta in una dimensione alla prima persona singolare, come recita il titolo di un celebre libro, “Io speriamo che me la cavo”, ma va coniugata al plurale. “La vita eterna – ha concluso – non è il palliativo che si appiccica alla vita terrena, è il compimento, come pienezza, del bene compiuto su questa terra, anche il più piccolo gesto di carità come dare un bicchiere d’acqua ad un bisognoso, dice il Vangelo. E sarà compimento nella forma del riscatto per tutte le vittime della storia”.

Da parte sua, come aveva anticipato nell’intervista a Notizie, il professor Gherardi si è concentrato sul canto XXV del Paradiso, in particolare sui versi 67-68: «“Spene”, diss’io, “è uno attender certo / de la gloria futura…». “Dante si trova nel momento dell’esame: nel XXIV, san Pietro lo interroga sulla Fede, nel XXV san Giacomo lo interroga sulla Speranza e nel XXVI san Giovanni sulla carità – ha affermato Gherardi – . Un trittico tra i più complessi ma più intensi della Commedia. La Speranza è davvero la protagonista del canto ed emerge subito in apertura, con un riferimento alla speranza più intima del poeta: tornare, prima o poi, a Firenze e ricevere, nel Battistero di San Giovanni, l’incoronazione poetica. Una speranza che – come è noto – non troverà compimento: possiamo però dedurre da questi versi quanto fosse in lui radicata e quanto abbia accompagnato e, direi, sostenuto l’esule Dante fino alla fine dei suoi giorni”.