Che cosa può essere assunto della testimonianza di Odoardo Focherini nella vita dei laici cristiani che, oltre agli impegni familiari e professionali, svolgono anche un servizio all’interno della comunità ecclesiale?
Una riflessione di questo tipo non può non tenere conto di quello straordinario evento ecclesiale – del quale Odoardo non fu partecipe – che è il Concilio. Pur non contenendo una vera e propria teologia del laicato i testi del Vaticano II hanno avuto il merito di offrire una riflessione sulla vocazione e la missione dei laici nella chiesa e nel mondo e l’effetto di una rivitalizzazione, forse ancora parziale, di questa parte numericamente preponderante del corpo ecclesiale, rimasta per molto tempo piuttosto atrofizzata. Lo slogan “è l’ora dei laici”, più volte ripetuto, anche in tempi recenti di crisi delle vocazioni, dà l’idea del mutamento di clima.
Odoardo fu attivo come laico cristiano anche nella collaborazione alla pastorale diocesana. L’Azione Cattolica, nella quale egli si impegnò, rappresentava già allora un formidabile strumento di apostolato associato e un’esperienza paradigmatica delle relazioni tra preti e laici. La diversità dei ruoli era anche allora motivo di qualche tensione: in una lettera dell’8/11/1926 il presidente giovani AC Zeno Saltini scriveva al suo assistente don Armando Benatti: “Lasci a Ganassi la questione dei locali, degli usci, delle finestre… non sono di sua competenza… ma Lei restauri solo ed unicamente le Anime. Lei agisca solo su ciò che direttamente riguarda l’eternità”.
L’irrigidimento nella comprensione dei ruoli non è opera dello Spirito: rischia di creare caste contrapposte. Il Concilio ha offerto un’immagine di Chiesa che non è solo societas iuridice perfecta, ma essenzialmente Corpo, Popolo, nel quale ogni membro ha la stessa dignità, è chiamato alla santità, partecipa alla stessa ed unica missione. L’icona conciliare sull’apostolato dei laici è data da “quegli uomini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evangelizzazione, faticando molto per il Signore” (LG 33c).
L’apporto dei laici alla costruzione e all’animazione della Chiesa è – e sarà – utile soltanto se assunto sin dalle fasi iniziali dell’elaborazione dei progetti pastorali. L’atteggiamento interiore dovrebbe essere quello richiesto dall’Apostolo: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 2,3). Questo monito è rivolto a tutti, non solo ad una parte del corpo ecclesiale. Chi, prete o laico, avesse paura di questa modalità collaborativa, non è mosso dallo Spirito.
Nuovi spunti di riflessione sull’apostolato laicale sono stati offerti da Papa Francesco nel discorso alle associazioni laicali della veglia di Pentecoste: “ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose…ma sapete cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala”.
L’invito è: “Uscite fuori, uscite!”. Poi quello di “andare all’incontro con gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro…ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio”.
Il discorso prosegue sull’accoglienza dei poveri, “la carne di Cristo”.
Di quali poveri si occuperebbe Odoardo Focherini se vivesse tra noi oggi?