Via Franchigena – Sui sentieri dell’anima

Con lo spirito dei pellegrini a piedi lungo la Via Francigena da Viterbo a Roma, un elogio al cammino e all’amicizia

di Daniele Losi

La Via Francigena si percorre con i piedi e con il cuore. Un cammino antico fatto di silenzi, passi lenti, incontri, panorami che insegnano a guardare la realtà in profondità. In un mondo che corre, si può anche scegliere di rallentare, di ritrovare se stessi, di condividere stanchezze e sorrisi. Un cammino percorso da pellegrini, mercanti, santi e briganti, che per secoli hanno attraversato città d’arte, campagne silenziose, boschi millenari e borghi intatti, per fede, per necessità, per semplice quiete. Sulla strada parlano le pietre delle cattedrali, i venti delle colline, l’ospitalità semplice di chi ancora crede nel valore dell’accoglienza.

Daniele Losi, Mauro Panizza, Alberto Bellesia ed Arnaldo Lancellotti, giovani e pimpanti sessantenni con il gusto dell’avventura, sono partiti da Viterbo il 27 aprile scorso con arrivo a Roma in piazza San Pietro dopo cinque giorni di cammino e 110 chilometri percorsi. Questo tratto della Via Francigena, suddiviso in cinque tappe, ha permesso di gustare la campagna della Tuscia (alto Lazio), bellissima in questa stagione, ed alcuni centri minori, ma ricchi di storia e fascino. Si tratta di un antico cammino di fede che ha origine nel Medioevo per portare i pellegrini a Roma, in visita alla tomba di San Pietro e, in occasioni speciali come il Giubileo, per attraversare le Porte Sante della città eterna. Il percorso più noto è quello descritto nell’Itinerarium di Sigerico, un arcivescovo di Canterbury che, attorno all’anno 990, annotò le 79 tappe del suo viaggio da Roma alla sua città. Oggi la Francigena è un cammino riconosciuto e segnalato che parte da Canterbury (Inghilterra) e attraversa Francia, Svizzera e Italia.

L’incontro di tanti volti e storie
La fatica della strada, come spesso accade, ha fatto emergere valori importanti: l’amicizia, la condivisione delle proprie esperienze, il confronto tra le convinzioni personali, con spontaneità, senza barriere o pudori, anche se alcuni di noi hanno riallacciato i rapporti di recente. Pur non essendo più i ragazzi di un tempo siamo partiti mettendo negli zaini tanti sorrisi e soprattutto la voglia di esserci e di mettersi alla prova. Ogni passo, ogni sosta, sono serviti ad ascoltarci, a sorridere scoprendo così che l’amicizia vera non teme il tempo e le distanze ma semplicemente attende e subito si fa riconoscere. Così la Francigena diventa poesia, non solo terra da calpestare ma luogo dell’anima, dove i vecchi legami sempre ritornano. Tra un passo e l’altro, il cammino si popola di volti sconosciuti. Un saluto scambiato accanto a una fonte, una cena improvvisata in un’osteria… così abbiamo conosciuto i ragazzi di Torino, giovani ed allenati, l’infermiera di Brescia che ha voluto fare il cammino da sola, le due ragazze di Varese con le quali siamo riusciti a dialogare un po’ più a lungo. Il cammino fa questo miracolo: abbatte i muri, fa nascere nuove storie, i compagni di tappa diventano amici di cuore, autentici e senza maschere. Sulla Francigena non ci si chiede “che lavoro fai”, ma “da dove vieni e dove stai andando”, è incontro di anime in cammino, una comunità che si crea, un pezzo di mondo che si riunisce per qualche chilometro e lascia un’impronta indelebile. Sono stati giorni caldi, i piedi dolenti, le gambe un po’ si trascinavano… eppure nessun lamento, nessuno è rimasto indietro. Ogni fontana una benedizione, ogni bar un’oasi di ristoro. Ogni traguardo raggiunto una festa. Si cammina per lunghi tratti in silenzio ma non è solitudine. È un modo diverso di stare insieme, è come dire: “Ti sono comunque accanto”. Nel vuoto di parole, si agitano i pensieri che solitamente non trovano spazio, insieme a ricordi, domande, immagini, desideri… Sul cammino impari che non serve sempre parlare. È uno dei doni più belli di questa esperienza: il tempo per ascoltarsi dentro cosa che nel rumore di tutti i giorni non accade.

Il valore del silenzio… e la tavola
Ho camminato, ascoltando me stesso. Ho capito che alcune cose non si risolvono: si accettano. E il silenzio aiuta. C’è stato un momento durante il cammino, nella visita alla chiesa di Santa Maria in Forcassi a Vetralla, in cui mi sono sentito di dire una sola parola: grazie! Per il dono di questa esperienza, per le gambe che mi sostengono, per gli amici che camminano accanto a me, per ogni incontro inaspettato. Anche per i miei pensieri, che ora so ascoltare. La gratitudine non ha bisogno di schiamazzi e oggi ho sentito che camminare è anche questo: imparare a dire grazie, senza bisogno di troppe parole. C’è poi una gioia particolare che appartiene solo a chi cammina: quella che si prova alla fine della giornata, quando le gambe sono stanche, i vestiti impolverati, le maglie sudate ma il cuore ricolmo di soddisfazione con piccole cose che si gustano davvero: una doccia calda, un letto semplice e soprattutto una buona tavola. Quella tavola dove i pellegrini si ritrovano la sera, non importa se ci si conosce da ore o da anni. Si mangia con lentezza, si ascoltano i racconti, si ride. Attorno alla tavola si abbassano le difese, nessuno ha bisogno di dimostrare niente. Poi alla fine della cena, quando cala il silenzio, ci si guarda negli occhi e si capisce che quel giorno, comunque sia andato, è stato un dono. È anche lì, tra un piatto di pasta e un bicchiere di vino rosso, che il cammino rivela la sua anima più autentica: non solo il percorso che si fa con i piedi, ma quello che si fa insieme, attorno ad una tavola condivisa.

L’arrivo a Roma
Piazza San Pietro ci ha accolto con il suo abbraccio e con le campane che suonavano a festa quasi a dirci: “Ce l’avete fatta”. La fatica, il riposo, le foto di rito, poche parole…e un sorriso di compiacimento. Ho capito che il cammino non finisce con l’ultima tappa ma comincia proprio lì, quando ti guardi dentro e ti accorgi di essere cambiato. Il silenzio sperimentato sulla strada lo porterò con me, non sarà facile ritrovarlo nella quotidianità ma esiste, basta rimettersi in cammino. Sento una gratitudine profonda per il tempo condiviso con gli amici, per i pensieri affrontati, per le strade percorse insieme e da soli. Perché in fondo, la Via Francigena ci ha insegnato questo: si può camminare a fianco di qualcuno, e intanto ritrovare sé stessi. Siamo arrivati alla meta, è tempo di salutarci, ma cammineremo ancora. Magari su strade diverse ma con lo stesso passo dentro di noi.