Omelia nella Celebrazione della Passione del Signore

Venerdì Santo 3 aprile 2015
03-04-2015
In questa celebrazione della Passione siamo chiamati a contemplare la croce.
La croce agli occhi del mondo appare, e non può essere diversamente, come un terribile strumento di tortura e di morte. E’ quanto di più debole, ignobile e disprezzato si possa pensare. Contraddice ai nostri desideri di potenza, di prestigio e di grandezza.
L’Evangelista Giovanni al contrario, vede la croce come l’esaltazione di Cristo, il compimento delle parole che Cristo aveva detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Infatti, nel racconto della Passione che abbiamo appena ascoltato ciò che emerge è la dignità di Gesù, la totale libertà con cui si consegna alla morte, l’aspetto di trionfo, di vittoria sul male, di regalità. Non è un caso che i termini “re” e “regno” ricorrono per ben 15 volte e che Pilato credeva di prendere in giro Gesù presentandolo con una “corona di spine” e con addosso “un mantello di porpora” (Gv 19.5). In realtà non faceva che esprimere il sorprendente disegno di Dio, che dall’eternità aveva predestinato il Suo Figlio come re dell’universo il Crocifisso risorto.
Il cartiglio, poi, posto sopra la croce con scritto in ebraico, in greco e latino: “Questi è il re dei Giudei”, costituisce una proclamazione della regalità di Cristo davanti al mondo intero. Questa regalità viene ulteriormente sottolineata dal fatto che mentre gli altri evangelisti parlano di due ladroni crocifissi con Gesù, Giovanni si limita a parlare di altri due in mezzo ai quali viene crocifisso Gesù. La centralità di Cristo è un altro segno di regalità.
Anche nella sepoltura di Cristo emerge un particolare “regale”. Si dice che per la sepoltura di Gesù furono utilizzati cento libbre (circa trenta chili) di mirra e aloe. Si tratta di una quantità che veniva utilizzata per un re.
San Tommaso d’Aquino afferma che “Cristo porta la croce come un re porta il suo scettro, come segno della sua gloria, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria”.
Un altro elemento proprio soltanto di Giovanni nel racconto della passione è rappresentato dal sangue e dall’acqua che escono dal costato aperto di Cristo morto. L’acqua e il sangue, che sono il simbolo del sacramento del Battesimo che ci purifica dalle nostre colpe e dell’Eucaristia. Sono i due sacramenti che fondono la Chiesa. A ragion veduta, allora possiamo dire che dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa cioè la nuova umanità liberata dal peccato e che diventa capace di corrispondere all’amore di Dio.
E’ il paradosso del progetto salvifico: la morte che ha patito il Figlio di Dio diviene sorgente di vita: l’onnipotenza di Dio trasforma uno strumento di rovina in mezzo di redenzione e di regalità. Infatti, dopo le tenebre dell’ora nona, che vedranno morire Cristo, e il sepolcro in cui sarà deposto il suo corpo senza vita, Egli rivedrà la luce il terzo giorno, e così “il principe di questo mondo (satana) sarà cacciato fuori” (Gv 12.31).  Il Risorto, innalzato da terra, prenderà il suo posto, diventando re, e attirando tutti a sé. Il demonio, che si era illuso di averlo soppresso, si troverà definitivamente deluso e disfatto.
Gesù crocifisso appare, allora, come il grande abbraccio di Dio per il mondo.
E’ ciò che ha ben presente la Chiesa nella sua liturgia. La croce viene cantata come “il vessillo del Re”, un “luminoso mistero”, l’altare sul quale muore “la Vita e morendo ridona agli uomini la vita. “Sul legno avviene la regalità di Cristo” (Vexilla Regis). Ed è per questa ragione che tra poco noi ci inginocchieremo ed adoreremo la croce perché da essa Cristo dona la vita al mondo.
 
+ Francesco Cavina, Vescovo