Omelia nella Santa Messa crismale

Mercoledì Santo 1 aprile 2015
01-04-2015
In questi giorni santi la Chiesa è come riportata alle sue origini, alla testimonianza iniziale da cui è partita. Non può fare a meno di ripetere incessantemente i gesti e le parole che Cristo le ha affidati perché la Chiesa non è il frutto di una riflessione astratta o di una volontà umana, ma nasce dalla storia concreta e dalla volontà divina del Figlio di Dio, in particolare dai suoi “fatti” di Pasqua.  Così i gesti e le parole di Cristo sono, ora, insieme di Cristo e della Chiesa, che la liturgia rende di nuovo presenti e quindi “vivi” per noi. La rievocazione della Pasqua è fatta “perché essa sia debitamente celebrata anche nelle membra del corpo di Cristo”.
Scrive San Leone Magno: “Tutto ciò che il Figlio di Dio ha fatto e insegnato per la riconciliazione del mondo, non lo conosciamo unicamente attraverso la narrazione delle azioni passate, ma lo sentiamo nella forza dei suoi atti presenti” (Serm. 63).
Se manca la sensibilità della “presenza” di Gesù Cristo – cioè della sua voce e delle sue azioni – tramite la Parola e il sacramento-, ogni sacro rito che la Chiesa celebra si ritrova come svuotato. Infatti, la Chiesa legge, ascolta e medita la parola di Dio e celebra i misteri di Cristo per conformarsi ad essi perché la vita di Cristo diventi la sua stessa vita.
Questa sera emerge con particolare evidenza come il Signore raggiunge la nostra vita attraverso realtà create che Egli assume al suo servizio, e ne fa strumenti di salvezza. Queste realtà create sono l’uomo e l’olio, che sono al centro di questa nostra azione liturgica.
 
1.Nella colletta della Messa abbiamo pregato: “O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo, e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi partecipi della sua consacrazione di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza”.
Carissimi sacerdoti, quando il Signore ci ha chiamati e consacrati abbiamo generosamente risposto con le parole: “Eccomi! Sono pronto!” In realtà, più che una risposta, è stata una dichiarazione di amore con la quale abbiamo consegnato la nostra vita (sentimenti, intelligenza, volontà) a Cristo. Abbiamo detto al Signore, con totale e assoluta disponibilità: “Io sono qui perché tu possa disporre di me”. Il sacerdozio, infatti, ci ha resi partecipi al sacerdozio originario e intrasferibile di Cristo e come Egli è stato consacrato dal Padre e si è donato a Lui senza porre condizioni, così noi siamo stati consacrati da Cristo per compiere la sua stessa missione.
Il sacerdote trova, dunque, la sua identità nel porsi e riconoscersi in assoluta dipendenza da Gesù Cristo per il servizio ai fratelli. Nel giorno della nostra ordinazione è avvenuto tra noi e Cristo uno “scambio di vestiti”, uno scambio di destino. Il Signore sceglie e chiama per porre l’uomo al suo servizio e al servizio della Chiesa, la quale non si auto-costruisce, ma è edificata dal Signore, per l’opera “rappresentativa” dei sacerdoti.
 
Questo ci porta a riconoscere che non è la comunità che sceglie il presbitero, che lo elegge, che gli affida il ministero: essa lo riceve da Cristo per ministero del Vescovo come grazia, come dono e segno dell’amore del Signore per il suo popolo.
Da parte nostra, il riconoscimento della totale dipendenza dal Signore richiede che facciamo continuamente memoria che siamo al servizio di questa o di quella comunità non in nome nostro, ma “in Nome di un Altro”. Pertanto, tradiremmo la nostra vocazione se avessimo la pretesa di annunciare noi stessi, le nostre opinioni personali, le nostre visioni di vita… se ci ritenessimo indispensabili e quindi non liberi di accedere ad altri servizi ecclesiali. 
Inoltre, l’ordinazione sacerdotale non fa di noi dei “liberi battitori”, dei “self-man”, ma ci inserisce in una fraternità, in una comunità ben definita: il presbiterio. Scrive il Concilio vaticano II: “In virtù della comune sacra Ordinazione e missione tuti i sacerdoti sono tra loro legati da un’intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale… e nelle comunione di vita, di lavoro e di carità” (LG 28).
La celebrazione della Messa Crismale, che vede riunito tutto il presbiterio attorno al Vescovo e nel corso della quale saranno rinnovate le promesse sacerdotali, pone in particolare risalto la dimensione della nostra fraterna comunione che deve tradursi in umana amicizia, con tutte le sue sfaccettature, e che trova la sua sorgente indefettibile e il suo reale ed inscindibile vincolo nell’Eucarestia.
Cari fratelli e sorelle, noi sacerdoti e diaconi, insieme alla consacrazione e al buon proposito di una vita santa, portiamo la nostra nativa debolezza. E’ questa la ragione per la quale questa sera ci affidiamo, in modo particolare alla vostra preghiera. Voi, in ragione della grazia battesimale e crismale ricevuta siete non solo attivi collaboratori, ma corresponsabili della vita ecclesiale. Aiutateci ad essere “fedeli dispensatori dei misteri di Dio” e ad adempiere “il ministero della parola di salvezza sull’esempio del Cristo, Capo e Pastore”. La vostra amabilità e comprensione sostenga il peso degli inevitabili limiti umani, considerando quanto sia importante la presenza del sacerdote in mezzo a voi.
 
2. L’altro grande gesto che compiremo in questa celebrazione è la benedizione degli olii.
Domani sera, nella Messa “in Coena Domini” mediteremo, in particolare, sul dono dell’Eucarestia. Questa sera, con la benedizione degli olii, prendono rilievo, invece, quei sacramenti nei quali entra il segno dell’olio: il battesimo che rende figli di Dio e membra viva della Chiesa; la cresima che compie la consacrazione battesimale con l’elargizione della pienezza dei doni dello Spirito Santo e costituisce cristiani avvolti dal profumo delle virtù di Cristo; l’unzione dei malati nei quali la grazia della Pasqua è trasmessa come conforto, pazienza e lenimento delle sofferenze; il sacerdozio dove l’olio misto a profumo significa in grado speciale l’assimilazione alla missione di Gesù, Messia.
I santi olii, da questa Chiesa, giungeranno alle varie comunità della diocesi: saranno anch’essi il segno della profonda comunione che lega ogni porzione della diocesi al Vescovo che la governa e la rappresenta a nome di Gesù e nel prosieguo del ministero degli apostoli.
Carissimi fratelli sacerdoti, cari diaconi grazie per il dono instancabile della vostra vita e per la vostra fedeltà al Signore e alla Chiesa.
Il nostro grato ricordo e la nostra preghiera va ai confratelli che sono passati alla riva dell’eternità. Ad essi il Signore doni la beatitudine riservata ai servi buoni e fedeli.
Poi eleviamo il nostro canto di lode al Signore per i confratelli che in questo anno celebrano il loro anniversario: Monsignor Renzo Catellani e il Canonico Giovannino Levratti che hanno raggiunto il traguardo di 70 anni di sacerdozio; e don Flavio Segalina che festeggia le nozze d’argento. Cari confratelli insieme a voi rendiamo grazie al Signore per queste significative tappe della vostra vita e vi ringraziamo per avere vissuto la Parola e il Sacramento in questa nostra Chiesa di Carpi. La vostra fatica, la vostra dedizione, il vostro umile servizio, anche se non sempre riconosciuto, non sono stati, tuttavia, vani per questo Popolo di Dio.
Chiediamo al Signore per tutti e ciascuno un rinnovato impegno, pari a quello della nostra prima Santa Messa e che questo incontro ci dia nuovo slancio per proseguire il nostro cammino, per la gloria di Dio e il bene dei fratelli.
 
+ Francesco Cavina, Vescovo