(Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14)
“Un bambino è nato per noi”: pochi minuti fa è risuonato questo annuncio gioioso – ogni volta che nasce un bimbo spunta la gioia – per bocca del profeta Isaia, che sette secoli prima di Cristo così ne annunciava la venuta. A questo bambino, però il profeta assegna dei compiti speciali, che non sono cose da bambini, ma da adulti, anzi da sovrani; continua infatti Isaia: “il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace”. E conclude: “grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine”.
Parole misteriose, quelle di Isaia; profezie difficili da capire. Infatti quando arriverà questo bambino, e si presenterà come Principe della pace, sarà respinto. Prima ancora di nascere, al Principe della pace l’umanità chiude i battenti: per lui e per i suoi genitori “non c’era posto nell’alloggio”; tanto che devono farlo nascere nella stalla, su una mangiatoia. Il mondo non riconosce il Principe della pace, lo lascia fuori dalla porta. Se si fosse presentato come un conquistatore armato, avrebbe sfondato le porte e si sarebbe fatto largo, come tanti re potenti e dittatori, che nel corso della storia si fanno prendere dall’ebbrezza del comando e spadroneggiano, seminando terrore e morte. Ma lui era il Principe della pace e non poteva abbattere le porte; era solo un bimbo che stava per nascere, figlio di due giovani popolani, e non aveva la forza per imporsi. La pace si presentò con il volto di un bimbo, e non fu riconosciuta dagli uomini. Troppo presi dai loro affari, dai loro giochi di potere, dalle lotte per la supremazia. Chi si può curare di una famigliola debole, di un bimbo che sta per nascere in un angolino del pianeta, quando c’è tanto da fare nel mondo?
Qualcuno, in realtà, accoglie il Principe della pace. Ma non sono i grandi della terra, come l’imperatore Cesare Augusto e il governatore Quirinio, che Luca nomina all’inizio della scena. Loro, e tutti gli altri grandi dell’epoca, non sapranno mai che è nato il Principe della pace. Sono invece dei piccoli, anzi degli “scartati” – direbbe papa Francesco – cioè i pastori di Betlemme, che si accorgono di questo bimbo. Gli angeli vanno da loro per annunciare “sulla terra pace agli uomini, che Dio ama”. I piccoli possono riconoscere la pace in un piccolo; chi ha il cuore da bambino può ospitare la pace incarnata in un bambino.
Il nostro grido di pace non si rassegna alle guerre. Anche oggi il Principe della pace bussa alla porta delle locande umane, attraverso i bambini. Sono i bambini della terra Santa e della Palestina, della Siria e dell’Ucraina, dello Yemen e dell’Afghanistan, del Sudan e del Myanmar, a bussare alle porte degli adulti, che si ostinano nel proseguire la tragedia delle guerre; sono i bimbi dei Paesi impegnati nei 56 gravi conflitti in corso, a chiedere alloggio nelle locande sicure, dove regna la pace. E sono i bambini affamati e assetati, desiderosi di venire alla luce, spaventati dalle ingiustizie e dalle violenze, a cercare alberghi che li accolgano.
Nessuno di noi può da solo contrastare i mali del mondo, che ci avvolgono come un minaccioso cielo scuro. Insieme, però, possiamo far scoppiare la pace, aprendo le porte del nostro animo al grande messaggio che il Papa ha fatto risuonare ancora poche ora fa, aprendo la porta del Giubileo: pace in terra agli uomini, che egli ama. Chi si fa piccolo come i pastori, apre le porte al bambino che è Principe della pace, apre le porte ad ogni essere umano fragile e vulnerabile. Che il Natale apra la porta del nostro cuore.
+ Erio Castellucci