Amo pensare che sabato quando don Roberto è giunto alla presenza del Signore, egli aveva con sé molte opere buone da presentarGli. Penso, in primo luogo, alla costruzione della chiesa del Corpus Domini, poi all’amore con cui ha curato e abbellito la chiesa di San Francesco, l’impegno e il sacrificio con cui, per tanti anni, ha servito la comunità parrocchiale. Un amore che lo ha, poi, portato a riconoscere che la salute non gli avrebbe consentito di continuare come avrebbe voluto il suo apostolato. Inoltre, al Signore ha potuto presentare l’importanza che egli attribuiva al dono dell’amicizia e quanto tenesse ad essa. Ricordo che quando morì don Claudio Pontiroli, piangendo mi disse: “Ho perso un amico e ora mi sento più solo”. Agli amici e alle persone che, sono sue parole, “mi hanno voluto bene e mi hanno circondato in vita di affetto e di stima, nonostante i miei difetti”, chiede di essere ricordato nella preghiera. Mi viene, poi, naturale richiamare alla nostra attenzione un aspetto della vita di don Roberto, che amo considerare eredità preziosa lasciata a tutti: l’amore e la cura per il decoro della Chiesa, casa di Dio, e per la celebrazione liturgica. Entrambi questi aspetti erano oggetto della sua preoccupazione. Amava le belle celebrazioni, amava che all’altare fossero presenti i ministranti, amava che il rito si svolgesse in maniera armoniosa e solenne. Tutto questo non per gusto dell’esteriorità, ma perché voleva che i fedeli comprendessero che il culto ha lo scopo di lodare Dio e anticipare qui in terra la liturgia del cielo. Ultimamente mi aveva confidato che veniva volentieri a concelebrare in Cattedrale, in occasione di qualche solennità dell’anno liturgico, perché poteva godere della bellezza della celebrazione. E questo gli dava gioia e consolazione. “Tutto è compiuto. E chinato il capo, spirò!”. La vita terrena del nostro fratello si è compiuta e noi lo poniamo sull’altare insieme all’offerta di Cristo, perché essa sia sacrificio gradito al Padre celeste, che lo ha scelto ad essere ministro della Sua redenzione. E se nella sua vita terrena ha espresso qualche asperità, a causa della fragilità umana, noi preghiamo perché il Signore gli conceda di saziarsi come a lauto convito a quella liturgia del cielo di cui quella della terra è segno e pregustazione. E chissà che dal cielo non veda esaudito un suo grande desiderio: “Io prego e pregherò perché il mio posto possa essere preso da un giovane più bravo di me”. Don Roberto, sacerdote di Cristo, riposa in pace, accolto tra le braccia della Vergine Maria, che hai amato e venerato!
+ Francesco Cavina