Le alterne vicende del Campo vissute dal Parroco di Fossoli dal 1942 fino al giorno del suo assassinio
Il Campo di Fossoli, attivo dall’estate del 1942 al settembre del 1970, ha conosciuto tutte le principali vicende dolorose e tragiche innescate dalla seconda guerra mondiale, nell’ordine: la prigionia di guerra, l’internamento e la deportazione nel Reich di ebrei italiani e stranieri e di oppositori politici, poi di cittadini italiani razziati per il lavoro nel Reich, la raccolta ed epurazione di fascisti italiani e in seguito di “indesiderabili”, di persone prive di documenti, quindi l’accoglienza delle famiglie create da don Zeno Saltini con mamme di vocazione per bambini orfani e abbandonati e la nascita di Nomadelfia, seguita dalla creazione del Villaggio San Marco per i profughi giuliano- dalmati. Poiché qui l’attenzione si concentra su don Francesco Venturelli, sarà trattato solo il periodo dal 1942 al gennaio 1946.
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- Campo per prigionieri di guerra alleati PG/73, Ministero della Guerra, Regno d’Italia Luglio 1942 – 9 settembre 1943
Creato come campo per soldati e sottufficiali angloamericani fatti prigionieri nel nord Africa, aperto su Via dei Grilli (circa 6 ettari), già all’inizio del 1943 è integrato da un nuovo campo, su via Remesina (circa 9 ettari). I due campi, adiacenti ma separati dal canale Gavasseto e diversi nella struttura delle baracche, sono subito distinti come Campo Vecchio e Campo Nuovo secondo la data di costruzione. A pieno regime più di un centinaio di soldati italiani coi loro ufficiali custodiscono e controllano circa cinquemila prigionieri e alcuni ufficiali alleati. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 truppe tedesche circondano i due campi, disarmano e fanno prigionieri i militari italiani, trasferendoli a Modena e sostituendoli nella custodia dei prigionieri inglesi, che alla fine del mese sono condotti, a piedi, alla stazione di Carpi per continuare la prigionia nel Reich, tutelati, come in Italia, dalla Convenzione di Ginevra. Nel Campo Vecchio, devastato e razziato, lasciano tre prigionieri uccisi in un tentativo di fuga, che saranno sepolti da don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli. - Campo di concentramento ebrei, Repubblica sociale italiana 5 dicembre 1943 – 15 marzo 1944
Mentre a Carpi si progetta di risistemare il complesso dei due campi per ospitare famiglie di sfollati dalle città più colpite dai bombardamenti, la neoistituita Repubblica Sociale, in concorrenza con gli alleati nazisti, a fine novembre equipara gli ebrei italiani a «stranieri di nazionalità nemica», privandoli dei diritti civili e politici e disponendone l’arresto, la confisca dei beni e l’internamento in campi di polizia provinciali in attesa di riunirli in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati: i campi di Fossoli. I primi ebrei italiani arrivarono a Fossoli il 7 dicembre 1943, mentre il Comune stava frettolosamente apprestando alcune baracche del Campo Vecchio – ma in quella della cucina nevica dentro, racconta una sopravvissuta – e comprato suppellettili e oggetti necessari per la settantina di internati in arrivo; nel frattempo si progetta la divisione con tramezzi di alcune baracche del Campo Nuovo, più ampie, circa 400 mq, per concedere alle famiglie un minimo di intimità. Gli ebrei sono controllati dalle autorità italiane, e a queste e al vescovo di Carpi, monsignor Federico Vigilio Dalla Zuanna, don Venturelli chiede, ottenendolo in breve, il permesso di visitare gli internati «che professano la religione cristiana». In gennaio gli arrivi si fanno più numerosi; da notare anche una settantina di ebrei libici che il 24 gennaio vengono requisiti dalle SS e deportati a Bergen Belsen (non ad Auschwitz, in quanto di cittadinanza inglese). È già prevedibile l’esito dell’ineguale contesa tra la Rsi e le SS per il controllo degli ebrei italiani: infatti un loro primo gruppo, circa 600 persone tra uomini, donne e bambini – tra cui Primo Levi – il 22 febbraio è stipato su carri bestiame alla stazione di Carpi e inviato ad Auschwitz, in un interminabile, terribile viaggio, il primo di una serie di partenze mensili fi no a giugno. - Polizeiliches Durchangslager, Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD, Verona 15 marzo 1944 – 5/6 agosto 1944
Dopo l’insediamento a Verona del generale Wilhelm Harster, capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza, cioè del controllo di ebrei e oppositori politici, a metà marzo le SS si impadroniscono del Campo Nuovo, che diventa Campo di polizia e di transito, diretto dal maresciallo Hans Haage e dal tenente Karl Titho con una decina di SS, mentre i sorveglianti, gli impiegati e i vari addetti alle funzioni del campo dipendono dalla Questura di Modena. Il Campo Vecchio è formalmente gestito dalla Questura di Modena della Rsi, ma le SS fanno da padrone anche là, come si vedrà al n. 4. Gli internati del Campo Nuovo sono ebrei e oppositori politici destinati alla deportazione in Germania, ma ai primi di maggio a loro si aggiungono i “quadraroli”, centinaia di uomini rastrellati nel quartiere popolare del Quadraro, che animano la vita del campo e che poi saranno ufficialmente rimessi in libertà, ma immediatamente costretti con la violenza a firmare l’ingaggio per il lavoro coatto nel Reich. Don Venturelli continua a mantenere i contatti tra internati e famiglie senza esporsi, ma con l’aiuto di muratori e operai che lavorano al Campo, sezione vigilanza, per arricchire i locali occupati dalle SS. I biglietti entrano ed escono nascosti tra gli attrezzi di lavoro. Spesso i familiari sono ospitati in canonica. Anche molti sacerdoti fanno da tramite, e il parroco di Fossoli è molto impegnato nel rispondere a tutti. La vita a Fossoli, forse per il paragone con quella successiva dei lager della Germania, è in genere ricordata come abbastanza sopportabile, nonostante la fame, la promiscuità, i parassiti e l’incertezza del futuro, ma funestata il 12 luglio 1944 dalla strage di settanta internati politici – poi ridottisi avventurosamente a sessantasette – al poligono di tiro di Cibeno, preceduta il 24 giugno dall’assassinio di Leopoldo Gasparotto, luminoso esponente del Partito d’Azione, e in maggio da quello di un internato ebreo, giustificato come punizione per un tentativo di fuga. Le SS vietano a chiunque non solo di entrare nel Campo, ma anche di circolare su via Remesina. Don Francesco Venturelli, che ha stretto buoni rapporti con gli internati, procurando a molti di loro generi necessari e favorendo rapporti con familiari ancora in libertà, è bruscamente diffidato anche solo dall’avvicinarsi al Campo. Sono passati da Fossoli in sei convogli circa 2.800 ebrei, quasi tutti destinati ad Auschwitz- Birkenau, tranne due gruppi di nazionalità inglese a Bergen Belsen e alcune donne a Ravensbrück. Un numero quasi equivalente di deportati politici è partito il 21 giugno 1944: molti di loro erano destinati a Mauthausen o ai suoi sottocampi. A loro vanno, però aggiunti tutti coloro che sono stati deportati dal Campo Vecchio, di cui a tutt’oggi non sono noti registri né elenchi. - Campo di concentramento per internati civili di nazionalità nemica, Questura di Modena della Rsi 15 marzo 1944 – 15 luglio 1944
Il Campo Vecchio ricovera da marzo 854 anglomaltesi provenienti dal campo di Fraschette di Alatri e piccoli gruppi di greci, croati, inglesi e francesi; ci sono anche persone fermate in attesa di accertamenti o familiari di renitenti alla leva trattenuti in ostaggio, per un totale di circa un migliaio di presenze. Spesso è utilizzato anche dalle SS del Campo Nuovo, ma i motivi dell’internamento non sono chiari, né l’identità o il numero di queste persone e nemmeno le destinazioni. (dal 5 luglio al 5 agosto è prigioniero al campo Odoardo Focherini, ndr) La documentazione degli archivi di Carpi e di Novi riguarda solo gli internati civili di nazionalità straniera, come si è detto, trattati umanamente dal direttore del Campo, il dottor Emanuele Giordano, che consente agli internati di recarsi a Carpi a gruppi di venti o trenta per acquisti o per lavoro, senza custodi, e per questo sarà degradato a vice direttore, ma continuerà a favorite le visite di don Venturelli, che stringe amicizia con molti internati, per i quali custodisce beni e denari in canonica – l’arredo del Campo non prevede armadi. Dalla sua corrispondenza risultano belle amicizie, come quella di una famiglia di professionisti di nazionalità inglese, padre, figlio e la giovane moglie di quest’ultimo, italiana, entrata volontariamente nel campo. Stranamente, al momento della chiusura di quest’ultimo, i due giovani sono stato liberati, il suocero destinato al lavoro coatto. Anche il cappellano di Fossoli, don Euro Melegari, visita il Campo Vecchio e l’11 giugno 1944 celebra un matrimonio “internazionale”, tra un giovane di Tripoli e una ragazza nata vicino a Zara, dopo che il 2 giugno il vescovo di Carpi, Monsignor Vigilio Dalla Zuanna cresima ventinove bambini e bambine. Nota: il Campo Vecchio è pesantemente saccheggiato nell’estate del 1945; il suo smantellamento definitivo è attuato nell’estate successiva. - Centro di raccolta di mano d’opera per la Germania, Generalbevollmächtigte für den Arbeitsensatz Agosto 1944 – 29 novembre 1944
Il Campo Nuovo diventa Centro di raccolta per la mano d’opera rastrellata in Italia e destinata al lavoro in Germania. Le testimonianze documentano il passaggio di un grande numero di deportati, uomini e donne, fino a ottocento o mille, in alcuni giorni, ma anche in questo caso la documentazione è andata completamente perduta. L’affollamento favorisce l’avidità di alcuni impiegati che evitano le partenze di chi può compensarli con false dichiarazioni di infermità. A fine novembre 1944 un violento bombardamento che provoca una decina di morti e distrugge o danneggia gravemente tre baracche fa sì che il Centro venga spostato a nord, a Gonzaga. Da dicembre i due Campi non sembrano utilizzati, ma i consumi dell’energia elettrica continuano fino a tutto febbraio 1945. - Campo gestito da truppe alleate per nazisti e collaborazionisti Campo Nuovo, maggio – agosto 1945
La gestione alleata non ha lasciato dati ufficiali ma la stampa conferma tentativi di giornalisti recatisi al Campo Nuovo per interviste e respinti dagli “americani. - Campo di concentramento per i fascisti, Ministero dell’Interno italiano Campo Nuovo, novembre 1945 – primavera 1946 Dopo una rapida risistemazione di alcune baracche, in dicembre apre ufficialmente il Campo, diretto dal Cav. Amadori, Commissario di Pubblica Sicurezza e sorvegliato da 50 agenti di Pubblica Sicurezza qualificati “effettivi” e partigiani locali e del circondario come “ausiliari”. I rapporti tra i due gruppi sono ovviamente molto tesi. Nonostante le anticipazioni di arrivi in massa, i fascisti internati non superano le 130 unità e in primavera sono tutti man mano liberati e sostituiti dai cosiddetti “indesiderabili”. Il Campo diventerà Centro di raccolta profughi stranieri, attivo dalla primavera del 1946 al luglio del 1947. Il 3 dicembre il Comandante del Campo, sollecita don Venturelli a prestare l’assistenza religiosa agli internati. Don Francesco visita i primi 50 internati rientrati nel Campo nei giorni 7, 15, 22, 24, 25, 29, 30. In questa data, a fine pagina, cessano le annotazioni del sacerdote, che sarà assassinato con l’inganno il 15 gennaio 1946, mercoledì. Non è mai stata fatta giustizia.
- Campo per prigionieri di guerra alleati PG/73, Ministero della Guerra, Regno d’Italia Luglio 1942 – 9 settembre 1943
L’ora delle scelte
Il Vescovo Dalla Zuanna e il clero dopo l’8 settembre 1943
Alla caduta del fascismo, non essendo ancora chiari i punti di riferimento partitici, prevalsero nella spinta all’impegno dei cattolici, motivazioni di coscienza, spesso sollecitate da indicazioni e consigli di qualche sacerdote: in un periodo di gravi decisioni come quello che seguì il 25 luglio ed ancor più l’8 settembre 1943, l’influenza dell’atteggiamento del clero sulla comunità cattolica fu determinante. All’inizio, nel clero locale, la tendenza alla neutralità fu probabilmente motivata dalla convinzione che la politica, con la necessità implicita di schierarsi, ponesse ostacoli al compito sacerdotale di essere padre di tutti. Era del resto abbastanza naturale che, di fronte alla prospettiva ormai chiara della guerra civile, si cercasse di richiamare lo spirito della moderazione e della fratellanza. In seguito, in molti casi e nonostante inviti della Gerarchia alla prudenza, furono i sacerdoti stessi ad offrire, oltre all’opera di pacificazione e assistenza propria del loro ministero, ospitalità e in alcuni casi mediazione presso i tedeschi. Il loro comportamento orientò all’impegno l’ambiente cattolico nelle varie forme in cui fu possibile, in una situazione che costringeva a decidere e agire, anche se la formazione di una nuova coscienza degli avvenimenti che avrebbero cambiato il Paese fu progressiva: da principio infatti le iniziative di opposizione si svilupparono prevalentemente ad opera di piccoli gruppi, spesso in presenza di particolari situazioni sociali e culturali.
E’ in questo difficile contesto che don Francesco Venturelli svolse la sua attività di aiuto e assistenza agli internati nel campo di concentramento di Fossoli, da dove passarono, in conseguenza delle vicende belliche, profughi, prigionieri alleati, ebrei, prigionieri politici e miliziani fascisti. Lo stringato “Resoconto” dell’operato, da lui redatto, aiuta a coglierne le motivazioni: “un sacerdote compie il suo dovere per imperativo della sua coscienza e per amore di Dio…è anche umano e ragionevole che non solo Iddio, ma anche gli uomini riconoscano il bene compiuto presso altri uomini…”. A guerra finita entrò in corrispondenza con coloro che da ogni parte d’Italia chiedevano notizie di familiari ex internati, continuando questo lavoro ancora per alcuni mesi. Nel suo Diario risultano documentate visite al campo, per confessare e per dire Messa, fino al 30 dicembre 1945.
Vescovo in anni difficili
Se il mondo cattolico diocesano rispose in maniera largamente positiva al richiamo di responsabilità che veniva dagli avvenimenti che sconvolgevano il Paese in quegli anni, gran parte del merito va certamente attribuito all’esempio del suo Vescovo. La sua presenza e il suo personale impegno, nelle forme e nei limiti che la carica gli consentiva, furono per i suoi diocesani, sacerdoti o laici, una continua esortazione ad un’instancabile opera a favore dei perseguitati e dei derelitti, che allora voleva dire lotta al nazifascismo. Mons. Vigilio Federico Dalla Zuanna prendeva possesso nel 1941 di una diocesi dove l’azione pastorale era particolarmente ostacolata dall’ampia e radicata diffusione di dottrine sociali di ispirazione marxista – latenti anche durante il ventennio – e da un anticlericalismo che si era spinto, nei primi anni del novecento, fino alle sue punte più estreme. Ma egli contribuì, grazie all’atteggiamento tenuto nel corso degli avvenimenti che portarono alla fine della dittatura e alla liberazione, all’affermazione di una nuova immagine della Chiesa e di una diversa considerazione del suo ruolo. Gli eventi seguiti all’armistizio e all’occupazione tedesca imposero a mons. Dalla Zuanna compiti difficili e delicati. Nei momenti di sbandamento e di latitanza delle autorità civili, quando queste non godevano del consenso e della fiducia della popolazione, l’autorità spirituale del clero poté assumere un ruolo di mediazione e di pacificazione nella misura in cui seppe imporsi come una superiore voce di giustizia e di carità. Tale fu la situazione in cui si trovò ad operare il Vescovo che, già nel settembre 1943, durante il discorso per la consacrazione della diocesi a Maria, aveva ammonito “a non abbandonarsi ad atti inconsulti, a vendette private, a non aumentare i dolori”.
Parte considerevole di questa opera di solidarietà e di richiamo a non dimenticare il senso di umanità nella crudezza della guerra, fu indirizzata alla triste realtà del campo di prigionia di Fossoli, che per le condizioni di vita imposte dai nazifascisti, richiedeva una continua opera di assistenza agli internati. Le sue visite al campo, annotate nel Bollettino ufficiale della diocesi, ebbero luogo incessantemente per tutto il 1944: in marzo, in luglio, in settembre e in ottobre egli ottenne il permesso di parlare ai prigionieri: la sua presenza fu per tutti di conforto e di sicurezza di non essere stati dimenticati. Ma gli interventi che più mostrarono il suo spirito di servizio fino all’eroismo e che maggiormente alimentarono la riconoscenza popolare verso di lui furono certamente quelli tesi ad evitare le rappresaglie naziste, esponendosi, come molti parroci della sua diocesi, a pericoli ed umiliazioni per l’opera mediatrice intrapresa.
(da: ANTONIO GELLI, RENZO GHERARDI, Nel segno della libertà. Il contributo dei cattolici alla resistenza nella diocesi di Carpi, Piemme, 1985)