Al centro del suo ministero i diritti dei bambini e dei giovani
La mattina, dopo la S. Messa delle sette, si recava in giro a visitare la gente a casa o direttamente sul posto di lavoro. Eccolo in sella alla sua bicicletta, col tricorno in testa per le vie, polverose d’estate o attento a procedere a zig-zag tra le pozzanghere, nella brutta stagione. Procedeva adagio, salutava or questo, or quello, portando con un caldo gesto la mano al berretto, sollevandolo appena sul capo.
Nelle sue visite Don Francesco dava la preferenza alle famiglie che sapeva in difficoltà, o dove abitava un bambino che era mancato alla messa domenicale o alla dottrina. Eccolo in fondo all’aia di un casolare, all’ombra dell’immancabile quercia, conversare con anziani ormai inabili; o sul ciglio della strada, seduto sul sellino della bicicletta, un piede a terra, conversare con dei lavoratori, fermi oltre la siepe di biancospino, appoggiati ai loro attrezzi di lavoro. Durante quelle conversazioni li invitava spesso a sottrarre i bambini al lavoro estenuante dei campi e a mandarli a scuola, alla dottrina, in parrocchia a giocare. Nelle giornate fredde e nebbiose andava a incontrare la gente direttamente nelle stalle, ove erano riunite intere famiglie. Don Francesco ascoltava e partecipava per un poco ai discorsi del giorno, poi raccontava un episodio divertente della vita di un santo, o più spesso commentava una parabola del Vangelo, una di quelle che piacevano tanto, perché parlano di animali e sanno di campagna.
Nel suo studio aveva scaffali stipati di libri per giovani e ragazzi che ci faceva leggere con affettuosa insistenza. Alla consegna ce li presentava uno per uno, spiegandoci solo quel tanto che bastava a stimolare la nostra curiosità e il nostro interesse. Trascorreva generalmente i pomeriggi con noi ragazzi. La prima ora aveva precise destinazioni: la dottrina, l’incontro con gli Aspiranti, la riunione coi chierichetti, il cambio dei libri e alla fi ne c’era sempre la correzione dei compiti scolastici. Il tempo che rimaneva a far sera era destinato al gioco, che consisteva spesso in partite di calcio col pallone di cuoio, unico a Fossoli. Don Francesco stava seduto sulla sua panchina a lato del portone della canonica col rosario in mano e il breviario aperto sulle ginocchia.
Se volete tirarvi fuori dal pantano e dall’aria malsana delle nostre risaie che rovinano prematuramente le gambe e i polmoni, – ci disse un giorno – se volete liberarvi dal massacrante lavoro manuale nei nostri campi, dovete assolutamente imparare l’italiano per chiedere e ottenere condizioni di lavoro più accettabili e più umane.
Sefano Zerbini
(Figure di sacerdoti diocesani, Diocesi di Carpi, 2007 – Ricordi di Olinto Lugli, chierichetto di don Venturelli)