(XXV domenica del T.O. – Sap 2,12.17.29; Sal 53; Giac 3,16-4,3; Mc 0,30-37
In questa seconda domenica di Avvento si presenta il Giovanni Battista con un abbigliamento descritto con peli di cammello che non è esattamente un vestito da sfilata, ma è il vestito dei profeti.
Anche Elia era vestito di peli di cammello. E la dieta, cavallette e miele selvatico, è la dieta dei profeti, che devono vivere l’essenziale per testimoniare che Dio è l’essenziale e poter predicare anche con una certa durezza la conversione, che nel brano è rappresentata proprio dalle vipere, perché Giovanni accoglie i farisei e i sadducei con questa espressione non proprio gentile: “razza di vipere”. Naturalmente non sta schedando una categoria, sta individuando un atteggiamento.
Anche Gesù predicherà spesso in maniera molto severa nei confronti dei farisei e dei sadducei, svelando la doppiezza del cuore. La vipera è simbolo della falsità, di un atteggiamento viscido. E quindi Giovanni sta dicendo ai capi del popolo che è necessario che eliminino le vipere dal loro cuore, cioè che assumano un atteggiamento franco, sincero, aperto. Convertitevi, questo richiamo, significa proprio eliminate la doppiezza dal cuore.
È utile tenere presente dove Giovanni predicava. Predicava al di là del Giordano, vicino a Gerico, in un punto che è stato individuato, dove i pellegrini e anche gli abitanti della Giudea potevano attraversare facilmente il Giordano da nord per dirigersi verso Gerusalemme, un punto in cui il guado era facile, era quasi una strettoia, e Giovanni si era collocato lì per esortare chi camminava verso il Tempio di Gerusalemme a fare di questo pellegrinaggio una purificazione del cuore. Non era una passeggiata, perché quel punto del Giordano è profondo 300 metri sotto il livello del mare, il Mar Morto, e Gerusalemme è a 750 metri di altitudine, quindi era una camminata di circa 20-22 chilometri di oltre mille metri di dislivello. Questo pellegrinaggio testimoniava, e testimonia ancora oggi in chi lo fa, il senso della vita, un cammino spesso in salita, faticoso, che però ha una meta, il Tempio. Giovanni indica come meta il Messia da attendere, Gesù, e Gesù si identificherà, non a caso, con il Tempio. Distruggete questo Tempio e io in tre giorni lo ricostruirò, e parlava del Tempio e del suo corpo. Dunque, per gli ebrei il punto di partenza era il fiume, la meta era il Tempio, per noi cristiani il punto di partenza è il Battesimo, la meta è l’incontro finale con il Signore. E qui arriviamo agli animali di Isaia, perché gli animali di Isaia sono volutamente incompatibili tra loro. Il profeta, l’abbiamo sentito domenica scorsa immaginare che il monte del Tempio del Signore, cioè proprio il monte di Gerusalemme, sarà elevato sulla cima dei colli e tutte le genti accorreranno nel tempo finale.
Oggi Isaia ci dice cosa succederà sopra questo monte, cioè come Dio prepara la fine dei tempi. Ci sono animali feroci che convivranno con animali mansueti, ci sono i predatori che si sdraieranno accanto alle prede, il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo con il capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme come la mucca e l’orsa.
Ma chi è che cambia? Non gli animali mansueti, sono gli animali feroci che hanno perso gli artigli e il veleno, perché poi dice anche che il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi. Sono gli animali feroci che vengono, per così dire, mutilati e proprio dal Messia, questo germoglio che spunterà dal tronco di Iesse, il nuovo Davide, ci sarà un giudizio dunque. Per questo Giovanni predica la conversione. Mentre fate questo cammino verso Gerusalemme, cercate di convertirvi perché il Signore vi sta aspettando e non tratterà allo stesso modo i criminali e le vittime, i crocifissori e i crocifissi, ma i criminali, i violenti verranno privati dalla loro violenza. E questo riguarda tutti noi, perché in realtà questi animali abitano nel nostro cuore.
Ci sono leoni, leopardi, orsi nel cuore, ma ci sono anche agnelli, capretti e vitelli nel cuore. Cioè nel nostro cuore convivono l’aggressività e la mansuetudine, potremmo dire, forse esagerando un po’, l’odio e l’amore. Il pellegrinaggio, il cammino, e concretamente adesso il cammino di Avvento, ci serve proprio per tagliare gli artigli, per eliminare i veleni, per fare dei percorsi di perdono, donato e ricevuto.
Questo ci sta chiedendo la parola di Dio. E questa per Isaia è la pace. La pace non è una soluzione generale dove tutti vengono trattati allo stesso modo. La pace è il leone privato degli artigli che si sdraierà accanto al capretto. È la mucca e l’orsa che pascoleranno assieme. E una giustizia ci sarà.
Giovanni Battista la dichiara in maniera molto forte. Questa giustizia non dobbiamo pensarla però per gli altri. Ci sarà per tutti naturalmente. Altrimenti la storia sarebbe la vittoria attribuita ai violenti. Ma ci sarà per ciascuno di noi. Quella parte di noi che è aggressiva, quella parte di noi che cade nel risentimento, dovrà essere purificata lungo il cammino verso Gerusalemme. Questa è la buona notizia delle letture di oggi. Questo giardino zoologico ci aiuta a capire come il Signore pensa la pace. La pace è pacificazione frutto di un cammino. È purificazione da ciò che è aggressivo dentro di noi per arrivare a una convivenza che il Signore ci chiede di cominciare a realizzare già ora e che Lui realizzerà nel Regno.
+ Erio Castellucci





