Meditazione di Domenica 3 febbraio 2019

La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza
03-02-2019

Domenica 3 febbraio Letture: Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1

Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30 – Anno C – IV Sett. Salterio
 
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.  
        Gesù per circa trent’anni ha condotto una vita nell’anonimato e nella banale quotidianità, che si esprime, come per la maggioranza degli uomini, in giorni, mesi, anni sempre uguali. Agli occhi dei suoi concittadini l’esistenza di Cristo appare simile a quella di un qualsiasi operaio del suo tempo. Si tratta di una cosa straordinaria: il Figlio di Dio, Dio Lui stesso e Creatore dell’Universo, ha vissuto, quasi sfuggendo allo sguardo del mondo, una vita di santità in nessun modo straordinaria, fatta di attesa, di obbedienza, di rispetto della vita sociale, liturgica e di pietà della sua comunità.
        In questa “ferialità” noi abbiamo la prova dell’umiltà della divinità del Signore. Il Papa San Paolo VI vede in questa vita nascosta di Cristo nel cuore della Santa Famiglia a Nazareth una vera “scuola del Vangelo”, potremmo quasi dire una scuola di spiritualità della vita quotidiana. Ma non l’hanno pensata così i suoi concittadini, per i quali la “ferialità” della vita di Gesù e la sua dimensione troppo umana diviene occasione di diffidenza e di scandalo. Per credere che è il Messia chiedono allora una prova ben precisa: il miracolo. Gesù rifiuta questo “ricatto” perché il miracolo avviene dove c’è la fede, non la pretesa. La reazione dei Nazaretani è violenta: cercano di ucciderlo.         L’insuccesso non abbatte il Signore, il quale continuerà nella fedeltà e nell’obbedienza al Padre la sua missione. Questo episodio se da una parte prefigura il dramma della passione, dall’altra descrive l’atteggiamento dell’uomo di tutti i tempi nei confronti di Cristo. Di fronte a lui noi siamo chiamati ad operare una scelta: accoglierlo o rifiutarlo perché la Sua persona suscita sempre o ammirazione o sospetto, per non dire paura.
        Il destino di Gesù si rinnova nella vita della Chiesa e del singolo cristiano. Essi si trovano continuamente di fronte ad un bivio: piegare la Parola di Dio al gusto degli ascoltatori per ottenere l’applauso e il successo mondano oppure vivere nell’obbedienza al Signore e rimanere fedeli alla Verità, con il rischio dell’impopolarità. Il verso discepolo di fronte a questa tentazione non può che scegliere la via percorsa dal suo Maestro.
        Infine vorrei ricordare che i trent’anni di vita di Gesù, fatti di atti comuni, ordinari, quotidiani, semplici, quasi banali, come lavorare nella bottega di San Giuseppe, fare la pennichella dopo il pranzo, passeggiare per le vie di Nazareth, mangiare… hanno reso possibile a tutti la santità. Se la santità consistesse solo nel vivere nel deserto e mangiare cavallette, come Giovanni Battista, difficilmente la maggioranza dei cristiani potrebbe diventare santo. Padre Voillaume, discepolo di Charles de Foucauld a proposito della quotidianità scrive: “Il corso abituale della nostra vita non è forse una routine? Spesso si dà a questa parola un valore fuorviante… la stessa parola in inglese ha tutt’altra sfumatura: implica il dovere e l’impegno quotidiano, che si ripresentano ogni giorno… la vita di Nazareth è stata una lunga routine di impegno e dovere modesti e sempre presenti nello stesso modo”.
        La quotidianità di Nazareth, dunque, non è una prigione oscura, non è noia, non è vuota monotonia, non è ripetitività priva di senso, ma è dono di Dio, è crescita nell’amore. Gesù ha fatto della quotidianità un tempo e uno spazio santi per amare il Padre e i fratelli. Egli nella vita nascosta non ha fatto niente di straordinario, tuttavia in quella vita ordinaria era Dio come quando si trasfigurava davanti ai suoi discepoli o quando risuscitava l’amico Lazzaro.
        E quindi anche nella routine è possibile trovare la presenza del Signore, è luogo di santificazione, è cammino di crescita umana e spirituale.
+ Francesco Cavina