Operatori di pace: raggi di luce in tempi bui
Si è aperta con la diretta del discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’evento FacciaAMO Pace, organizzato dal Sermig lo scorso 31 dicembre a Torino presso l’Arsenale della Pace, sede storica e simbolica dell’associazione. Un’apertura inconsueta ma dettata dall’anticipazione ricevuta in mattinata da Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig, che nel suo discorso il Presidente Mattarella avrebbe fatto riferimento alla sua recente visita all’Arsenale della Pace e al conferimento ricevuto dai bambini della cittadinanza nel paese di Felicizia (dalla fusione di felicità e amicizia). Sono stati proprio loro i bambini e i ragazzi del Sermig insieme ai loro educatori i protagonisti di questo capodanno alternativo dove si è riflettuto sulle cause delle ingiustizie che sono all’origine delle guerre diffuse in tutto il pianeta: un insieme che genera paura, diffidenza verso l’altro, chiusura, rincorsa alle armi… sono atteggiamenti che si stanno diffondendo non solo a livello di geopolitica ma anche tra la gente nei quartieri delle nostre città. Non può essere questa la risposta per chi crede e spera possibile un mondo dove a regnare siano la pace, la giustizia, la solidarietà. Oggi come in passato, autentici testimoni del Vangelo hanno dimostrato che anche nei tempi più bui della storia è possibile portare un raggio di luce, essere costruttori di pace. Ecco perché nella loro ricerca i giovani del Sermig si sono imbattuti e sono rimasti colpiti dalla vita del Beato Odoardo Focherini, dalla sua scelta d’amore per i fratelli sacrificando la propria vita e di conseguenza anche quella della moglie e dei fi gli che non avrebbe più rivisto. A rendere viva la testimonianza del Beato Odoardo è stata la figlia Paola, che ha risposto alle domande dei giovani con immediatezza e semplicità, molto emozionata ma anche molto felice di far conoscere il suo “babbo” e di aprire il proprio cuore raccontando del suo percorso interiore e spirituale di fi glia che quel papà non ha mai potuto abbracciare. “Solo con la fede si può spiegare la scelta del babbo…, la sua sorgente era l’eucaristia…, il dialogo e l’unità di intenti con la mamma sono stati alla base delle sue scelte…, non solo la cura per gli ebrei perseguitati ma anche l’opposizione al fascismo come giornalista e amministratore del quotidiano cattolico…”. La veglia, con circa un migliaio di partecipanti, si è conclusa con la riflessione di Ernesto Olivero incentrata sulla necessità di fare pace a partire dalla realtà concreta, dai volti delle persone che si incontrano come la quarantennale esperienza del Sermig dimostra nel quartiere di Torino dove opera e nei 150 paesi del mondo nei quali si è diff usa questa esperienza di accoglienza e di condivisione. Poi la marcia per le vie della città verso il Duomo dove alle 24 l’arcivescovo Cesare Nosiglia, al quale è stato consegnato un volume delle lettere del Beato Odoardo Focherini, ha presieduto la messa per la pace.
A Mirandola pietra d’inciampo per Focherini
Mercoledì 16 gennaio l’associazione culturale Educamente, in collaborazione con la locale sezione dell’Anpi e il patrocinio del Comune, inaugurerà a Mirandola la prima pietra d’inciampo della provincia di Modena in ricordo del beato Odoardo Focherini. Alle ore 9, presso l’aula magna “Montalcini”, il sindaco Maino Benatti inaugurerà la mostra dal titolo “Nostro fratello Odoardo” curata da Maria Peri, nipote di Focherini; seguirà la testimonianza inedita di alcuni salvati. Alle ore 12 verrà posta la pietra d’inciampo davanti al civico 58 di piazza Costituente – dove Focherini abitava con la famiglia al momento del suo arresto a Carpi – alla presenza delle autorità civili e del Vescovo Francesco Cavina. Le Pietre d’inciampo sono una iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diff usa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata in diversi Paesi europei (finora le pietre installate sono oltre 56 mila), consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime abitazioni delle vittime di deportazioni, dei blocchi in pietra ricoperti da una piastra di ottone, su cui sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, la data, l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera.