Giovanni Mazzoni è oggi direttore responsabile di è-tv, uno dei più grandi gruppi dell’Emilia Romagna. Ma ha alle spalle una lunga storia nella televisione locale. Proveniente da Rete Emilia 81, a lui si deve la nascita di Teletricolore (che nei primi anni ’80 aveva il nome di Tele Barco). La prima area di copertura è molto limitata, ma Mazzoni non si perde d’animo: chiede aiuto all’allora vescovo Paolo Gibertini e all’imprenditore reggiano Nino Spallanzani, per creare una vera impresa editoriale. In pochi anni Teletricolore si espande e diventa la seconda realtà al fianco di Telereggio. Di impostazione cattolica, propone informazione, sport, programmi culturali e religiosi, aderendo dichia-ratamente ai valori cristiani. “Lo scandalo più grosso che creai ‘ racconta Giovanni Mazzoni ‘ fu l’aver consentito che i reggiani assistessero ad una messa in diretta in Duomo senza essere fisicamente presenti. In particolare nella messa del Santo Patrono videro il sindaco di fianco al vescovo: ricordo che arrivarono molte lettere, la gente non poteva neanche immaginare che stessero l’uno accanto all’altro durante la messa. Fu per Reggio un fatto storico ed avvenne perché Teletricolore riportò la messa attraverso la diretta”. Sul finire degli anni ’90 la svolta: l’emittente aderisce a Sat2000 e propone, oltre ai programmi autoprodotti, anche quelli del network della Conferenza Episcopale Italiana; rileva Antenna 1 di Modena e Rete7 di Bologna; rilevata anche la concorrente Reggio 3 Tv che funziona come seconda rete del gruppo, e sul finire degli anni ’90 assume la denominazione di è-tv (Emilia Tv). Com’è nata l’idea di costruire un rapporto di collaborazione tra è-tv e le diverse Diocesi del territorio? Parto da un presupposto: l’esperienza di televisione cattolica voluta nei primi anni ottanta da monsignor Camillo Ruini, finita in nulla. Il mio proposito, dunque, è stato di creare qualcosa che non fallisse: mi sono sempre orientato a questo con Teletricolore e, nel 1994, è entrato un imprenditore che definisco illuminato, Nino Spallanzani, che ha condiviso con me l’intenzione di mantenere fermi i nostri valori di riferimento cattolici. Ho trovato grande adesione in questo progetto, che non solo continua ma si rafforza. Da cosa nasce la scelta di affidare degli spazi televisivi direttamente alle Diocesi? Perché, invece, non dare più spazio alla Chiesa nei tg di rete? Alla Chiesa non serve uno strumento che faccia una mediazione, ma qualcosa che riporti ciò che essa vuole dire. Il contraddittorio, la logica politica del controbilanciamento delle opinioni non è la logica della missione della Chiesa, che invece deve poter parlare in modo compiuto, dall’alto del suo magistero. Per questo è importante che ogni Diocesi possa gestire il proprio spazio, parlando nel modo che ritiene più giusto e senza che vi sia una mediazione dei contenuti. Questo garantisce la libertà della Chiesa e anche quella dell’emittente televisiva. Questa opzione è stata premiata dagli ascolti? Non pongo gli ascolti come elemento che possa mettere in discussione la scelta mia e dell’editore, la nostra linea comune. Anche se oggi, a distanza di tempo, sappiamo di essere premiati, avendo l’opportunità di parlare a un mondo, quello cattolico, che non è certo piccolo, e che spesso è sottovalutato. Non è questione di ascolti, comunque, ma di presenza. Penso che la televisione rimanga il mezzo più immediato e, dunque fondamentale, per comunicare: la Chiesa deve poter entrare in tutte le case portando il suo messaggio. Rispetto alle reti nazionali, quali punti di forza può avere una televisione a diffusione locale? In un territorio come l’Emilia Romagna, dove è stata forte la contrapposizione ideologica, la televisione locale ha un ruolo importante, pur essendo cambiati i tempi, nel far conoscere il pensiero della Chiesa, facendo però parlare direttamente i suoi esponenti e le realtà particolari. Bologna ha recepito velocemente questa opportunità, ma anche Reggio e Rimini hanno messo in piedi esperienze significative, poi c’è Parma, adesso Carpi e Modena. Questa grande adesione non è perché la nostra tv vale più di altre, ma è motivata dal fatto che lo spazio è assegnato alla Diocesi in maniera totale. Alla vigilia della seconda puntata, viene spontaneo chiederle qualche consiglio’ La tv non si inventa, l’hanno già inventata. Non occorre inventare niente, bensì creare cose semplici e avere un orizzonte preciso: la costanza. Infatti, la tv è straordinaria, ma si dimentica in fretta; grandi personaggi scompaiono in poco tempo. Ed è per questo che occorre “farla” e “continuarla”, con un prodotto che corrisponda alle potenzialità e risorse a disposizione: è questo che premia. Una piccola attrezzatura è già sufficiente, soprattutto se si è capaci di coinvolgere i giovani. Un prodotto come il notiziario, con linguaggi semplici e comprensibili che non danno nulla per scontato è importante, per far partecipare alla vita della Diocesi chi è interessato e, agli altri, far arrivare un messaggio, far capire il significato profondo degli eventi ecclesiali. Anche mediante i mass media – che pure sono qualcosa di molto marginale rispetto alla profonda e originaria corrente del comunicare di Dio con l’uomo e degli uomini tra loro -, [‘] è possibile una vera comunicazione umanizzante e addirittura salvifica. [‘] I mass media, nella varietà dei linguaggi da essi usati (verbale, per immagini, sonoro, gestuale, per vibrazioni ed emozioni, ecc. ), sono “tende” potenziali in cui il Verbo non disdegna di abitare, lembi del suo mantello, attraverso cui può passare la sua potenza salvifica. C. M. Martini, Il lembo del mantello, Lettera pastorale anno 1991