Celebrato nella Cattedrale di Carpi il 60° anniversario della morte della Venerabile Marianna Saltini

Nelle braccia della chiesa la famiglia di Mamma Nina

 
Non poteva che essere la Cattedrale di Carpi, dove Mamma Nina ha pregato tante volte, ha emesso i voti religiosi, ed accompagnato all’altare molte delle sue fi – glie, ad accogliere, domenica 3 dicembre, le iniziative per il 60° della sua dipartita verso il cielo. Toccante l’intervento di Paul Bhatti – con la partecipazione, insieme all’assessore Milena Saina, anche di alcuni rappresentanti della comunità pakistana residente a Carpi -, a dimostrare la comunione profonda tra il ministro martire Shahbaz Bhatti e Mamma Nina in un radicamento così saldo nel Vangelo da spingere a donare la propria vita agli ultimi e a muoversi con una creatività inedita, in grado di “parlare” a uomini e donne di epoche e culture diverse. Poi la Santa Messa presieduta dal Vescovo, che nell’omelia ha evidenziato nell’umiltà e nella fiducia totale nel Signore la fisionomia spirituale di Mamma Nina. Infine, la festa con i bambini delle case Agape in Sala Duomo grazie all’iniziativa di solidarietà organizzata dai volontari del Gruppo Motopinguino di Modena. Un pomeriggio, dunque, di riflessione, di preghiera e di condivisione gioiosa in semplicità, a cui ha partecipato una piccola grande moltitudine di persone, a riunire ancora una volta, nelle braccia della chiesa madre della nostra Diocesi, la famiglia voluta e teneramente amata da Marianna Saltini.
 
Shahbaz Bhatti e Mamma Nina Per la dignità di ogni essere umano
Ad animare Mamma Nina e Shahbaz Bhatti è sempre stata una profonda sensibilità per le sofferenze del prossimo, innata sì, ma senza dubbio resa più “incalzante” dall’amore per Gesù crocifisso. “Con Shahbaz, mio fratello più piccolo eravamo una famiglia di sei figli – ha spiegato Paul Bhatti -. Siamo cresciuti in un villaggio del Punjab, dove sono presenti una comunità cristiana ed una musulmana, senza avvertire nessun tipo di discriminazione. Man mano che cresceva Shahbaz ha maturato una particolare attenzione per i poveri e già a 13 anni aveva creato con altri bambini il gruppo ‘la voce della giustizia’ per aiutare queste persone”. Una premura che lo portava, ad esempio, a donanare ai bisognosi, ha raccontato Bhatti, le mance ed altre piccole somme di denaro che i fratelli gli affidavano. E sempre a soli 13 anni, in occasione del Venerdì Santo, Shahbaz, come racconta nel suo testamento spirituale, contemplando la Passione del Signore, “decide di dedicare tutto se stesso, seguendo le orme di Gesù, alla difesa di quanti vedeva soffrire in Pakistan. E’ un aspetto, questo, come altri – ha sottolineato Bhatti – che non aveva mai confidato a nessuno e che ho scoperto in seguito”. Difesa dei più deboli che si è declinata ben presto nell’impegno per il dialogo interreligioso, contro ogni fanatismo ed estremismo, in questo sostenuto da una donna musulmana, due volte primo ministro, Benazir Bhutto. Fu lei “a chiamarlo ad Islamabad e ad invitarlo ad aderire al Partito popolare del Pakistan. Condividevano la medesima agenda: un Paese in cui cristiani e musulmani siano uguali, senza discriminazioni”. Tante le riforme inaugurate da Shahbaz durante la sua attività politica, fra cui, ha sottolineato Paul, “l’accesso, mai realizzatosi prima, dei cristiani e dei rappresentanti di altre minoranze al senato pakistano”.
 
Fino al sacrificio di sé
Una vocazione, dunque, quella che Mamma Nina e Shahbaz Bhatti sentivano loro affidata da Dio, a cui rimanere fedeli anche a costo del sacrificio di sé: per la prima, il distacco dolorosissimo dai fi gli naturali, per il ministro la morte violenta. Paul Bhatti sapeva bene di come il fratello fosse minacciato e aveva provato a convincerlo a raggiungere l’Italia, dove a Treviso si era stabilito, avendo studiato medicina all’Università di Padova. “Un mese prima di morire Shahbaz mi chiamò e mi chiese di tornare in Pakistan. Io gli dissi ‘mi stai chiamando dal paradiso all’inferno’ ma lui mi rispose che la strada del paradiso parte dal Pakistan e che ‘aiutare i bisognosi nel nostro Paese è il paradiso’”. Parole  spiazzanti per Paul, seguite di lì a poco dal dolore lacerante alla notizia della morte di Shahbaz e dalla rabbia contro il Pakistan e contro se stesso per non aver saputo salvare il fratello. Con questa disposizione d’animo, insieme alla volontà di portare tutta la famiglia in Italia, Paul è atterrato all’aeroporto di Islamabad per partecipare al funerale di Shahbaz. Poi, ha raccontato, “ho visto una cosa commuovente, la bandiera pakistana abbassata per tre giorni, tanti amici musulmani che lo piangevano e lo chiamavano ambasciatore di pace…  questo mi ha dato la convinzione che il suo sacrificio non è stato vano e di essere chiamato, pur non sentendomi un politico, a portare avanti la sua missione”. Ecco allora, come si fa per tradizione in Pakistan, la richiesta del consenso e la benedizione della mamma, con cui Shahbaz viveva e che era giunta fra i primi sul luogo dell’assassinio a poca distanza da casa. Da qui il mandato di ministro federale del Ministero per l’armonia nazionale portato avanti da Paul, che ha ricordato con tenerezza di aver scoperto man mano i “segni” di speranza seminati da Shahbaz, come l’amicizia con i bambini di Islamabad che studiavano il Corano e che, in suo nome, hanno affidato a Paul il compito di “portare in Italia il messaggio che in Pakistan i musulmani non sono terroristi e che i bambini studiano per la pace”. Oppure l’attenzione per i cristiani, sempre di Islamabad, costretti a vivere accampati, di cui Shahbaz aveva condiviso per una settimana le condizioni di vita e a cui aveva promesso di far costruire le case, promessa poi fatta propria da Paul.
 
Un’eredita che vive
Sono oggi tre gli obiettivi che Paul Bhatti sta perseguendo, in particolare attraverso l’associazione Missione Shahbaz Bhatti, nella non facile situazione di instabilità politica del Pakistan. “E’ necessario continuare sulla strada del dialogo interreligioso puntando sulla tutela della dignità di ogni essere umano, al di là della religione o appartenenza etnica, sulla convinzione che nessuno può uccidere in nome di Dio”. Per contrastare la presa che i seminatori di odio hanno sulle giovani generazioni, in un Paese dove più del 50 per cento della popolazione è analfabeta, fondamentale è allora promuovere l’educazione dei bambini, ma, ha sottolineato Bhatti, “un’educazione qualitativa che insegni i valori umani”. Con la stessa sollecitudine di Shahbaz, quando a seguito del terremoto del 2005 nel nord del Pakistan, che rese orfani centinaia di bambini, creò una scuola per loro, nella stragrande maggioranza musulmani. Infine, ma non da ultima, la promozione della condizione femminile. “Abbiamo costruito un piccolo centro di ‘arti e mestieri’ che offre a cinquanta donne ogni sei mesi una formazione professionale. Presto sarà creata anche una fabbrica dove possano lavorare. Innalzando il livello socioculturale di queste donne, si pone una barriera contro la propagazione dell’estremismo, perché esse possano educare i loro figli in modo che non vengano strumentalizzati dall’ideologia dell’odio”. Ed è in questa cura educativa per i piccoli e per le donne che sta un altro degli elementi di consonanza tra Shahbaz Bhatti e Mamma Nina, la cui eredità è viva e feconda. Quella di Shahbaz nelle mani del fratello e degli “uomini di buona volontà”, appartenenti a tutte le religioni, che vogliono costruire una civiltà dell’incontro e della coesistenza pacifica. Quella di Mamma Nina nelle case Agape, con il loro lavoro quotidiano di accoglienza, e nell’opera del Centro di aiuto alla vita, a lei intitolato, per sostenere la maternità difficile.